Cinema

Shakespeare400. Macbeth: Mutate il latte in fiele

Fausto Vernazzani

Come fiore innocente e serpe, il dialogo tra Lady Macbeth e Macbeth in tre adattamenti della celeberrima tragedia di William Shakespeare.

 

L’uomo è una creatura minuscola. Sul finire del Macbeth si è avvolti dall’impressione di un universo per cui i nostri schemi sono piccoli giochi di fronte all’ineluttabilità del destino, una profezia che si auto-avvera ai nostri danni, ci sussurra nelle orecchie e distrugge i nostri pensieri creando un conflitto incredibile tra il Bene e il Male insediati in ognuno di noi. Tra le ultime opere di William Shakespeare, nonché una delle migliori e più complete in assoluto, il Macbeth è stata una delle tragedie più trasposte al cinema.

La storia è perfetta per un film, con un’introduzione avvincente su un campo di battaglia, l’arrivo di entità sovrannaturali e la lenta follia che porterà Macbeth e la sua Lady a commettere l’assassinio di Duncan e a usurpare il trono di Scozia. Orson Welles ne trasse un capolavoro, Roman Polanski lo riprodusse con fedeltà e tanti altri si sono cimentati in un’impresa tutt’altro che facile: Shakespeare senza i suoi versi e reso in immagini non sempre funziona come dovrebbe, per quanto l’impronta basti ad elevare qualsiasi tentativo.

Esistono tanti momenti chiave nel Macbeth, potremmo parlare di come ogni film ha trattato l’omicidio del Re Duncan, dell’incontro con le streghe e la prima profezia o ancora dell’apparizione del fantasma di Banqo, ma la scena più interessante e complessa da trasporre sul grande schermo parte dalla quinta e arriva a concludere l’Atto primo: Lady Macbeth prima tra sé e sé e poi col marito, avvinghia l’ambizione del suo uomo e la propria per spingerlo con le parole a commettere quel che a tutti gli effetti è come un patricidio.

Akira Kurosawa col suo Il trono di sangue realizzò forse la più fedele e riuscita delle trasposizioni, lo si evince già da come affronta questo momento: Washizu/Toshiro Mifune entra nella sala del suo castello dove l’aspetta Lady Asaji/Isuzu Yamada; a testa bassa la donna sfida l’uomo senza concedergli neanche uno sguardo, lo sminuisce e lo conduce con calma a prendere l’infame decisione, torturandolo privandolo della dignità d’un contatto umano, trascinandolo senza mani a sedersi e a mettere in dubbio se stesso.

L’espressione del corpo di Mifune parla della follia incombente, un attore la cui storia filmica da Rashomon in su lo rende ideale per il ruolo da protagonista nel Macbeth e nessuno potrà mai dimenticare il terrore nel suo volto in cima a un corpo trafitto dalle molte frecce del suo nemico. Con un balzo in avanti nel tempo e un passo breve sul mondo, scendiamo in India per guardare al Maqbool del regista e compositore Vishal Bhardwaj (secondo di una trilogia dedicata al Bardo, iniziata con l’Otello e conclusasi con l’Amleto).

Stavolta la fedeltà al testo non è invitata e tutto ciò che è stato prominente in ogni altro adattamento, viene relegato verso la conclusione, dando ampio spazio al conflitto interiore di Maqbool/Irrfan Khan; la maggiore differenza col testo di Shakespeare è proprio nella figura di Lady Macbeth, Nimmi/Tabu, qui giovane compagna del Signore della gang locale, Jahangir Khan/Pankaj Kapoor, segretamente innamorata del braccio destro di suo marito. Un dettaglio che porta a molte graditissime innovazioni.

La scena da noi presa in esame si allunga notevolmente, Maqbool e Nimmi hanno più di un momento per incrociarsi e stavolta l’ambizione è tutta nelle parole di lei, il cui tradimento verso il Re è più palese che in ogni altra trasposizione mai vista. In un preciso momento del Maqbool possiamo rivedere quel particolare passaggio, in un pellegrinaggio a piedi scalzi in cui lui l’accompagna per un tratto, con lei sullo sfondo, lievemente sfocata, come una sorta di demone sulla spalla dell’uomo già diviso dalla profezia.

Il trono di sangue e il Maqbool hanno entrambi scelto strade efficaci, uno scegliendo i movimenti di Macbeth come motore dell’azione durante il dialogo, l’altro optando per un subdolo lavorio protratto per oltre un’ora di film. La strada più breve, la più semplice e forse anche la meno immaginifica, l’abbiamo avuta proprio di recente nel Macbeth dell’australiano Justin Kurzel, dove a interpretare i due personaggi ci sono stati nomi del calibro di Marion Cotillard e Michael Fassbender.

Un’opera estetizzante sceglie purtroppo la banalità della corruzione della carne, con la Lady Macbeth di turno a usare il proprio corpo per avvicinare il dubbioso Glamis e sussurrargli all’orecchio quanto basta per unire le due metà e far sì che insieme trafiggano il cuore di Re Duncan. Scelta facile che non resta impressa come tante altre, in cui il conflitto spirituale sembra essere ridotto a qualcosa di terreno, togliendo molte della carica alla tragedia di Shakespeare; un difetto che si protrarrà per l’intero film di Kurzel.



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