Tra eventi più attesi di questa edizione del Festival Internazionale del film di Roma c’era senza alcun dubbio il nuovo film di Takashi Miike, ormai un abitué della capitale con la sua terza partecipazione consecutiva. Dopo aver deluso le aspettative dei fan, e non solo, lo scorso anno con il pallido The Mole Song, il regista giapponese strabilia per il suo carattere visionario e la capacità di divertire il pubblico con immagini forti e una trama sgangherata nei toni ma sempre ben articolata e funzionale a trasmettere un messaggio preciso. Il suo ultimo lavoro As The Gods Will, tratto dal manga di Muneyuki Kuneshiro, rappresenta il compendio dell’ultima fase del cinema di Miike e si candida come uno dei suoi migliori prodotti degli ultimi anni.

Shun (Sota Fukushi) è un ragazzo timido e annoiato dalla sua vita monotona. Durante un normale giorno di scuola, però, la routine quotidiana viene interrotta da una forza sovrannaturale che costringe lui e i suoi compagni a giocare al “Daruma è caduto” durante il quale molti perdono la vita. Inizia così una lunga serie di prove che il protagonista deve superare insieme ai suoi amici e coloro che sopravvivono, soprannominati “I figli di Dio”, vengono trasportati su un’enorme struttura cubica che sovrasta la città.

L’intreccio messo in piedi da Miike punta a non dare alcun punto di riferimento allo spettatore che viene spiazzato da continui colpi di scena e capovolgimenti difronte, solo in alcuni casi prevedibili. Impressione acuita ancor di più dall’uso ricorrente dell’ironia, autentico fil rouge dell’intera opera, giocata sia sulla parola con battute sagaci e sottili che sull’aspetto delle creature truccate alla maniera di cartoni animati o dei videogiochi, quest’ultimi saccheggiati a piene mani nell’uso di una struttura di prove a più livelli.

Anche le immagini splatter si adeguano al clima cartoonesco e l’abbondante ricorso a litri di sangue sono da leggere in chiave comica e mai per suscitare disgusto. Ma As The Gods Will  non è solo puro intrattenimento, vi sono molteplici stoccate alla religione e a una critica, più o meno velata, ai suoi dettami classici e al modo in cui viene venerato Dio, aspetto ben esemplificato dal fatto che le vicende de “I figli di Dio” sono viste da milioni di persone quasi come se si trattasse di un reality.