Musica

Premio Chigiana: la stella della rinascita è Ella van Poucke

Valentina Crosetto

Dopo sei anni di assenza, il Premio Chigiana è tornato ad essere uno dei concorsi di punta per giovani interpreti a livello internazionale. Ad aggiudicarsi la Stella d’oro lo scorso 7 luglio al Teatro dei Rinnovati di Siena, dopo una sfida emozionante con il pianista russo Arseny Tarasevich-Nikolaev, la talentuosa violoncellista olandese Ella van Poucke.

Era il 1982 quando il mecenate tedesco Rolf Becker tenne a battesimo la prima edizione del Premio Internazionale Accademia Chigiana. L’intuizione di un riconoscimento di assoluto prestigio da destinare a musicisti da poco alla ribalta internazionale ricalcava la lungimiranza dell’altro più antico e glorioso protettore dell’Accademia senese, il conte Guido Chigi Saracini, che proprio cinquant’anni prima aveva aperto le porte del suo palazzo di via di Città ai primi corsi di alto perfezionamento per allievi provenienti da ogni parte del mondo. Riservato a giovani ma già affermati concertisti di pianoforte e violino (con qualche eccezione relativamente all’organico), il Premio diventò nel corso degli anni uno straordinario trampolino per la consacrazione di stelle del nostro tempo, fra cui Gidon Kremer, Peter Serkin, Andras Schiff, Viktoria Mullova, Frank-Peter Zimmermann, Maxim Vengerov, Lilya Zilberstein. E contribuì ad alimentare la convinzione che Siena potesse essere sede ideale per festival elitari in cui promuovere il patrimonio musicale classico nazionale e internazionale grazie al confronto fra grandi interpreti e futuri talenti.

Oggi che per un musicista non è più sufficiente vincere un premio importante per avere la certezza di intraprendere (e mantenere) un’intensa professione concertistica, risulta tanto più coraggiosa la decisione di far rinascere l’evento, dopo parecchi anni di assenza, come un’autentica competizione con audizioni in Europa e USA e un concerto finale con i due migliori interpreti selezionati da giurie qualificate. I concorsi sono un banco di prova fondamentale per i nuovi talenti, possono offrire grosse somme di denaro, concerti anche in sedi prestigiose, ma la notorietà può esaurirsi nel giro di pochi anni se il vincitore non ha tutte le carte in regola per trovare una reale soddisfazione professionale e artistica. La versatilità dei finalisti che si sono contesi la Stella d’oro del Premio Chigiana lo scorso 7 luglio ha saputo, invece, dimostrare il contrario. L’olandese Ella van Poucke e il russo Arseny Tarasevich-Nikolaev sono entrambi molto giovani ma vantano riconoscimenti degni dei colleghi più maturi: lei, ventidue anni, è una delle violoncelliste di punta della sua generazione, avendo iniziato da tempo una brillante carriera internazionale; lui, ventitreenne, è un prodigio del pianoforte dotato di una notevole attrezzatura tecnica con un secondo disco già in cantiere per Decca. Sul palco del Teatro dei Rinnovati di Siena si sono alternati brillantemente nell’esecuzione di brani solistici e orchestrali di Prokof’ev, Rachmaninov, Schumann e Grieg. Ma al termine della Sinfonia classica di Prokof’ev, eseguita dall’Orchestra della Toscana diretta da un Jonathan Stockhammer quasi fisicamente compiaciuto nel tener dietro alle volute del larghetto o della gavotta, ha avuto la meglio Ella van Poucke. La sua sensibilità nel far respirare la musica con naturalezza e calore si è imposta efficacemente sul dominio cerebrale di Tarasevich-Nikolaev, confermando la superiorità interpretativa della prima sul freddo virtuosismo del secondo.

Sosteneva Glenn Gould che mentre i virtuosi – Liszt e Paganini – avevano come obiettivo principale quello di dimostrare il loro rapporto con lo strumento, gli interpreti come Svjatoslav Richter erano in grado di aggirare la performance e creare l’illusione di un rapporto diretto con lo spartito favorendo nell’ascoltatore un senso di coinvolgimento diretto non con l’esecuzione ma con la musica stessa, osservandola cioè da una prospettiva inusitata. Nella Sonata in do maggiore op. 119 di Prokof’ev – composta espressamente per Rostropovič – Van Poucke, accompagnata al pianoforte da Sergio De Simone, tocca punte di grande emozione soprattutto nei momenti lenti o moderati, dove il violoncello effonde la sua specifica cantabilità rifacendosi a quella sintesi di eleganza ed espansività melodica tipica di Brahms o Čajkovskij. Altrove, quando i due strumenti entrano in dialogo (mai in competizione), il trattamento della linea violoncellistica si colora di atteggiamenti rapsodici e umoristici, con pizzicati e staccati che si alternano agilmente agli effetti percussivi del pianoforte. Lo stesso lirismo appassionato che ispira il canto iniziale del violoncello nel Concerto in la minore op. 129 di Schumann si infrange più volte contro il piglio deciso dell’orchestra, in questa successione ininterrotta di movimenti che accoglie anche idee virtuosisticamente capricciose e affascinanti come il vezzo di una donna che sa di potersi permettere tutto a causa della sua bellezza. Diversamente, non si avverte nell’irruenza controllata (e non sempre impeccabile) di Tarasevich-Nikolaev uguale genuinità alle prese con i Six moments musicaux op. 16 di Rachmaninov. I sei brani offrono spazio a strabilianti effetti virtuosistici, ma la potenza del pianoforte appiattisce le sfumature attivate dal gioco delle tonalità. E nel Concerto in la minore op. 16 di Grieg la distanza rispetto a un’orchestra predominante aumenta mentre il solista prosegue nelle sue ghirlande di arpeggi e progressioni armoniche. Davvero non ci si poteva aspettare un verdetto differente.



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