Arti Performative

Tania Carvalho – Olhos Caidos

Renata Savo

Per il pubblico l’emozione è forte dinanzi a quelle espressioni strazianti, come di chi tenta di gridare pur non avendo voce

Un rettangolo di luce al centro del palcoscenico. Una figura rigida davanti a due rigidi corpi, quelli di Tânia Carvalho e Luís Guerra, giovani punte della danza portoghese contemporanea e membri, attualmente, dell’associazione di promozione culturale Bomba Suicida.

Con i capelli a caschetto e il volto coperto da una pesante maschera di trucco, i due danzatori, uno alla volta, vanno a disporsi dietro il rettangolo luminoso. Cominciano a eseguire i loro movimenti con precisione certosina. Prima lenti e ieratici poi, di colpo, rapidi e velocissimi; così veloci che l’occhio umano non riesce a cogliere dei “fotogrammi”, le varie fasi che il movimento attraversa. Nell’immobilità assoluta, nella lentezza estrema o con la rapidità di un fulmine, il duo dimostra in ogni caso di mantenere un elevatissimo controllo e di non abbandonarsi mai, neanche per un attimo, alla mollezza di un corpo quotidiano. Luís e Tânia manifestano costantemente una straordinaria capacità di trattenere energia e di rilasciarla nelle giuste dosi. Lo strato d’aria che li circonda, infatti, sembra non opporre alcuna resistenza ai loro movimenti spigolosi; il duo portoghese riesce a dissimulare persino il minimo sforzo e a creare l’effetto di un’immagine cinetica a due dimensioni. Questa forma di virtuosismo proietta il pubblico dal palcoscenico agli schermi cinematografici degli anni ’20 e genera l’illusione di trovarsi di fronte alle gag “velocizzate” di grandi attori come Charlie Chaplin o Buster Keaton. A loro, infatti, si rende omaggio nel corso dello spettacolo, quando i movimenti diventano più riconoscibili e mimetici. Il volto freddo e inespressivo cede il posto a un’eloquenza esasperata, puntualmente, al termine di ciascuna sequenza di movimenti.

Per il pubblico l’emozione è forte dinanzi a quelle espressioni strazianti, come di chi tenta di gridare pur non avendo voce, effetto che viene suggellato dall’ascolto delle sonorità cupe e inquietanti firmate Diogo Alvim. I due danzatori si trasformano, così, in figure spettrali e mute come il cinema che vogliono evocare. Con la loro presenza enfatizzano movimenti e gesti di cui lentamente si sta perdendo memoria, e quel rettangolo luminoso al centro non può che ricordare il piccolo schermo sul quale si sono esibite figure gigantesche, ma allo stesso tempo, nella sua posizione centrale sul palcoscenico, rammenta allo spettatore che nonostante gli sforzi nel difendere una certa bidimensionalità esiste una terza, non meno importante, dimensione: la profondità garantita dallo spazio teatrale sul quale si sta danzando. Olhos caídos diventa, in questo senso, metafora del sentire contemporaneo, di chi rincorre con nostalgia il mito di un cinema antico e di una presenza scenica quasi dimenticati.



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