Cinema

Nicolas Winding Refn in Focus

Antonello Trezza

Il successo di Drive ha portato alla ribalta il regista danese Nicolas Winding Refn, da oggi nelle sale con Solo Dio Perdona e protagonista di una retrospettiva su MyMovies Live.

Dopo l’anteprima francese al Festival di Cannes 2013, arriva nelle sale il nuovo lavoro di Nicolas Winding Refn, Solo Dio Perdona, che cercherà di bissare il successo di Drive. Per l’occasione MyMovies Live! mette  a disposizione del pubblico della rete gli esordi del giovane regista danese con la trilogia criminale Pusher, Pusher II, Pusher III e l’istrionico Bronson. Un’occasione unica per conoscere meglio la sua opera.

Dopo aver studiato all’American Academy of Dramatic Arts e alla scuola di cinema di Copenaghen (mai conclusa), Refn decide di portare avanti un ambizioso progetto: portare sullo schermo un cortometraggio girato per una piccola emittente televisiva. È’ così che nasce Pusher, l’esordio cinematografico di uno dei registi dagli sguardi più freschi e inventivi che si sono affacciati nel nuovo millennio.

Pusher presenta già gli interessi e la poetica che il regista danese svilupperà nei suoi lavori successivi, affinando la sua estetica attraverso “meccanismi della violenza” sempre più rodati. La violenza come esplosione dell’uomo; l’uomo come un’imperfetta creazione che si rimodella secondo un proprio immaginario e così la fantasia che trasmuta il reale cambiandone il corso. Una violenza, quella di Refn, mai sardonica o spassosa, ma dolorosamente elargita e straziante nei sui sviluppi. Una violenza che ha il suo perfetto continuum nell’amore. Un amore delicato e compassionevole ma completamente sradicato da un qualsiasi feticcio romantico.

Due elementi, questi della violenza e dell’amore, che contraddistinguono in toto i protagonisti dei suoi film. Uomini rimodellati sugli esempi (opere e idee) di Michael Mann, David Lynch, Jean-Pierre Melville e tanti altri, con l’unico scopo di trovare quell’ “essenza” che possa condurre le sue favole dark in quel territorio oscuro dove realtà e sogno si confondono tra loro. I luoghi che egli racconta sono in realtà non-luoghi, lontani, dei regni oscuri (Valhalla Rising) in cui lo spettatore si sente trascinato con forza, anche contro la sua volontà, come in un sogno.

Pusher è il primo capitolo di una delle trilogie criminali più innovative ed ispirate del cinema. Refn ci racconta una settimana “difficile” dello spacciatore Frank che per sfortuna e leggerezza sarà costretto a una corsa contro il tempo per estinguere un debito col serbo Milo. Il codice registico è quello di un cinefilo appassionato, molto personale, eppure il film ha degli spunti narrativi e stilistici innumerevoli e di altissima qualità. A otto e nove anni dall’uscita di Pusher, Refn lavora sui due seguiti (rispettivamente la sua quarta e quinta opera) che concludono la trilogia. La vicenda è fortemente coinvolgente e trascina lo spettatore in un universo sordido e lercio, una sorta di inferno dantesco, che lo strega fino quasi a creare un sentimento d’affetto nei confronti di quei poveri personaggi viscidi e dannati.

L’opera seconda è, invece, Bleeder. Due storie di violenza e amore (appunto) unite tra loro. La prima è il rapporto tra Louise e Leo, un uomo frustrato per la propria vita e pronto a sfogarsi ogni volta sulla moglie. La seconda è la storia del timido Lenny, commesso in una videoteca, e la giovane Lea.  Il film è in primis una dichiarazione d’amore nei confronti del Cinema, come dimostra la lunga carrellata nella videoteca di Lenny in cui spiccano i nomi più disparati (da Hitchcock a Herzog, tra i tanti), metafora di una propria cifra stilistica che si ispira a molti ma è del tutto originale.

Nel 2003 arriva l’esordio americano con Fear X (terzo lavoro per il grande schermo). Un uomo, Harry, è ossessionato dalla morte della moglie e si inventerà detective per scovare l’assassino. La complessità del soggetto e le ambizioni del progetto provocheranno un flop commerciale che poterà Refn alla bancarotta. Ciononostante la bellezza della fotografia e l’originalità del linguaggio visivo non possono lasciare indifferenti.

Conclusa la trilogia di Pusher si rimette in gioco con Bronson dove il regista danese cambia registro, abbandonando le dinamiche sociali e la strada psicoanalitica. Prendendo spunto da una vicenda di cronaca, racconta la storia di Michael Peterson aka Charles Bronson, il più famoso detenuto inglese della storia. Rinunciando anche al classico modello di storia carceraria, l’impianto stilistico è a dir poco inqualificabile, una sorta di scheggia impazzita. Sorta di metafora del suo protagonista.

Successivamente, Valhalla Rising, ambientato in un tempo mitologico sconosciuto, è la conferma di una poetica tematica in grado di restare tale anche in spazi scenici differenti: dalla cupa e de-personificata metropoli a terre desolate e selvagge tra guerrieri crociati e sassoni sanguinari.

Il 2011 è, infine, l’anno della consacrazione con Drive, film che gli vale la Palma d’Oro per la Miglior Regia al 64° Festival di Cannes. La stilizzazione è estrema e l’estetica raggiunge il suo massimo, con atmosfere lynchiane che ben si adattano alla caratterizzazione di un personaggio ambiguo e doppio che a tratti può ricordare il Robert De Niro di Taxi Driver.

Nella sua pur breve carriera, con il suo citazionismo cinefilo, una messa in scena fredda e visionaria, un montaggio straniante e il lavoro esasperante sulle colonne sonore, Refn ha creato un nuovo modello di Crime Movie, dal forte impatto visivo ed emotivo. Un modello che si distacca da quello hollywoodiano per avvicinarsi molto di più ad uno asiatico, sia per la sua astrazione metafisica che per l’ineluttabilità della tragedia. Un modello, ad oggi, originale e a tratti ancora indecifrato.



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