Cinema

Bertolucci In Vista. Novecento

Antonello Trezza

Presidente della Giuria alla Biennale Cinema di Venezia, Scene Contemporanee celebra l’opera immortale del maestro Bernardo Bertolucci, film per film: Novecento, l’epico racconto della Storia attraverso due personaggi e complici involontari.

Novecento, settimo lungometraggio per il cinema di Bernardo Bertolucci, mostra in sé una valenza anacronistica e allo stesso tempo fortemente attuale alla situazione odierna del nostro Paese. D’altra parte la quasi totalità del lavoro del regista emiliano, acuto osservatore della natura umana e soprattutto dei caratteri socio-politici italiani, ha improntato questa ambivalenza che può renderla in parte inattuale, in parte spaccato della società contemporanea.

Diretto tra il 1974 e il 1975, con ben 12 mesi di sole riprese, il film è un’epopea partigiana che nasce in seno ad un’amicizia “innaturale” tra Alfredo Berlinghieri, erede terriero, e il paisà, Olmo. Nati lo stesso giorno, i due cresceranno insieme condividendo tutto quello che è possibile condividere in infanzia, ma le loro strade si divideranno quando Olmo, ancora ragazzino, parte per il fronte. Di ritorno dalla Guerra, i caratteri già forgiati degli uomini che stanno per diventare acuirà le loro differenze. Il Padrone e il Paisà, il Fascista e il Comunista. Due universi differenti che finiranno con lo scontrarsi definitivamente il 25 Aprile 1945, il giorno in cui la differenza di classe che li aveva divisi sin dalla nascita cesserà e potranno tornare ad essere semplicemente amici.

Un’epopea per l’appunto, il corso di un’intera vita, che sullo schermo si traduce in 302 minuti di visione. Un’enormità per il pubblico americano che pensò bene ti tagliarne ben settantacinque ritrovandosi tra le mani un’opera monca e confusionaria. Senza contare quell’oceano di bandiere rosse che di certo non potevano entusiasmare gli spettatori d’oltre Oceano. Ma la durata, seppur proibitiva, è indispensabile per far defluire tutto il materiale politico, sociale, culturale e psicologico che Bertolucci inserì in Novecento. La duplicità e il dualismo della pellicola, nella versione americana si perdono e ne decretano la bocciatura. Non che il film nella sua interezza sia un capolavoro, ma la sua complessità è degna d’esser analizzata.

Novecento voleva essere, negli intenti del regista, un film in cui ogni aspetto personale dei personaggi venisse relegato in secondo piano, e sempre al servizio, del carattere storico. Eppure quello che accade è esattamente l’opposto. L’individualismo è destinato ad avere un impatto più ampio, quasi un significato storico. Sintomo di questa distorsione è la scelta di affidare i ruoli dei protagonisti ad attori di fama internazionale come Robert De Niro e Gerard Depardieu, tra tutti. La confusione di intenti, esplicata in questo contrasto tra l’ambito personale e realtà storica, rappresenta la diplopia di Novecento. Una diplopia che confuse lo stesso regista che voleva girare un film “violentemente documentaristico” e finì per creare una commistione estremamente fittizia tra cinema e teatro, e più precisamente Opera. Ne scaturì un’idealizzazione visiva e ideologica di quella che fu realmente la rivoluzione partigiana del 45’. L’intera sequenza iniziale del film, infatti, è un esempio di quanto appena detto, con un campo lungo alternato a uno stretto, di un partigiano che viene assassinato da un soldato; dai Paisà che insorgono contro Attila e Regina (il capofattore dei Berlinghieri e la sorellastra di Alfredo) simbolo della repressione fascista; dalle contadine che estraggono assieme i forconi da una balla di paglia. Fino alla giovane contadina che, con gli occhi rivolti all’infinito, si lancia in un breve monologo rapsodico intriso di epicità: “Tante cose vedo! Vedo un mucchio di briganti neri che scappano. Vedo uno dei nostri che gli va incontro senza fucile. […] Vedo uno su un cavallo bianco. […] Sembra Olmo!”. Invenzioni che si alternano alla realtà nel momento in cui scova Attila e Regina che scappano.

Una prima sequenza, questa, che rappresenta anche, in microstruttura, il film: passare rapidamente da quadri pastorali e rurali ai primi piani passionali e violenti dei personaggi.

Ma la ricerca dell’idilliaco, dell’idealizzazione, quasi del sublime, è richiamata sin dai titoli di testa che scorrono sul dipinto del proletariato idealizzato di Giuseppe Pellizza, Il Quarto Stato. Uno dei tanti riferimenti culturali inseriti dal maestro parmense.
Infatti, oltre al solito lavoro archetipico sui personaggi, all’inserimento pressante, indispensabile e sempre presente nella filmografia di Bertolucci, della componente voyeuristica, che trova la sua maggiore espressione nel personaggio dello zio di Alfredo, Ottavio (che un po’ fa le veci anche del regista stesso), i riferimenti extracinematografici sono dei più disparati. I personaggi alludono a figure storiche reali o fantastiche, e i riferimenti a Victor Hugo, a Dumas e alla letteratura di Ponson du Terrail ci indicano ciò a cui il regista ambisce: al roman feuilleton, o romanzo d’appendice, dove la Storia si intreccia con la leggenda. E, sempre in ambito letterario, si possono intravedere echi di Shakespeare e del suo Otello.

Altri riferimenti sono quelli pittorici, che ispirano soprattutto il direttore della fotografia Vittorio Storaro. Da Pierre-Auguste Renoir a Manet, passando addirittura per Caravaggio e Francis Bacon.

Non potevano mancare però, infine, anche la cinefilia: dal Renoir de La Règle du Jeu a tutto Visconti, di cui Bertolucci, per sensibilità nell’affresco storico-melodrammatico, per epicità, per il proustismo, per quel rimpianto ad un’aristocraticità spirituale e di stile e per vocazione al sublime, sembrava esserne il perfetto erede.


Dettagli

  • Titolo originale: Id.
  • Regia: Bernardo Bertolucci
  • Fotografia: Vittorio Storaro
  • Musiche: Ennio Morricone
  • Cast: Robert De Niro, Gerard Depardieu, Burt Lancaster, Donald Sutherland, Dominique Sanda, Alida Valli, Sterling Hayden, Stefania Sandrelli
  • Sceneggiatura: Bernardo Bertolucci, Franco Arcalli, Giuseppe Bertolucci

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