Arti Performative Mutaverso Teatro

“It’s App To You”, tra verità e progresso. Il racconto di Leonardo Manzan di Bahamut

Bernardo Tafuri

«It’s App To You – O del solipsismo è nato durante un corso a scuola, alla “Paolo Grassi” di Milano. Noi tre, allora studenti di recitazione, eravamo impegnati in una messa in scena di Orgia di Pasolini. C’è all’interno di quella drammaturgia un personaggio particolare, un non-morto. Orgia comincia con un suo monologo, a ritroso, esplorando le circostanze della sua tragica morte. Noi tre demmo alla messa una forma videoludica, come fosse un videogioco: tramite un cellulare, io comandavo Paola Giannini nei movimenti, e nel frattempo un altro, Andrea Delfino, la doppiava in diretta.

A chi teneva il corso la proposta piacque, ed in realtà fu lui, il maestro, a suggerirci di sviluppare quanto gli avevamo proposto, cosa che subito abbiamo fatto non appena diplomati. Sentivamo l’esigenza di creare da questi stimoli una drammaturgia originale: la messa in scena è nata prima dell’idea, che poi abbiamo sviluppato, con l’ausilio prezioso della drammaturga Camilla Mattiuzzo, nella lunga e complessa fase di scrittura.  Ah, il maestro… era Antonio Latella».

Così Leonardo Manzan della giovane compagnia Bahamut, ideatore, regista ed interprete dell’ambizioso It’s App To You – O del solipsismo, spettacolo in scena venerdi 3 febbraio presso l’Auditorium del Centro Sociale di Salerno, appuntamento del ricco palinsesto della stagione Mutaverso Teatro, curata da Vincenzo Albano.

«Per la costruzione dello spettacolo, ci siamo ispirati a molti videogiochi, tantissimi ne abbiamo giocati, e sicuramente ciò ha avuto un’influenza diretta anzitutto sulla caratterizzazione dei personaggi: Paola, ad esempio, ha tratto forte ispirazione da Lara Croft, una vera icona del genere, ed inoltre la mimica facciale dei nostri personaggi è fortemente influenzata dal prototipi di face morphing di “The Sims”.

Abbiamo anche un altro forte modello, questo cinematografico. Come nello splendido Her, una persona “reale” entra in contatto diretto con una interfaccia virtuale: lì, nel film, un sistema operativo gli presta assistenza.

Accade così anche nel “videogioco” che noi abbiamo creato: tra il giocatore ed il suo avatar virtuale s’instaura un legame effettivo, e seppur non venga mai raggiunto un grado di intimità così profondo come in quel film, anche la nostra interfaccia “virtuale” risulta avere questa funzione interattiva, tra lei ed il giocatore s’instaura un rapporto di “utilità”. Nel mondo reale ciò è davvero possibile, basti pensare a un’interfaccia come “Siri” di Apple.

Nel nostro spettacolo, che è strutturato davvero come se fosse un videogame, una donna si risveglia, morta, e di quanto accaduto non ricorda assolutamente nulla.

Al giocatore viene domandato di ricostruire il suo passato e far luce sulle circostanze in cui si è consumata la morte. Il giocatore, quindi, ha una forte responsabilità: ogni sua azione non risulterà mai ininfluente, ma avrà un influsso diretto sull’azione e sullo svolgimento della trama.

Il tema quindi, l’oggetto di indagine è anzitutto il libero arbitrio: se l’uomo, ovvero la realtà che viviamo, è davvero diversa da quella che sperimentiamo giocando ai videogiochi.  Se davvero noi, esseri umani, godiamo di una libertà effettiva. O è questa forse apparenza?

Ed inoltre, una serie di ulteriori quesiti ci sono alla base: ci siamo domandati in che cosa l’essere umano possa davvero essere considerato insostituibile: che tipo di rapporto bisogna instaurare con la tecnologia? Che cosa ci distingue dal nostro avatar, dagli strumenti tecnologici, dalle “protesi” di cui ci serviamo? Che cosa il robot, l’automa, non potrà mai avere?

Voglio pensare che il nostro mestiere, il teatro, sia ancora tra i pochissimi in grado di sottrarsi al vincolo di dipendenza dalla tecnologia, e sostituzione dell’essere umano con una macchina pienamente efficiente. Ci piace pensare che almeno il teatro necessiti ancora di un fondamentale apporto umano, sensibile e creativo.

È assolutamente il teatro il luogo dove si gioca questa fondamentale differenza.

Ma non vi è da parte nostra alcun proposito di critica feroce: alla base dello spettacolo, la nostra volontà di esplorare i sempre nuovi sviluppi della tecnica, integrando funzionalmente la tecnologia con la pratica teatrale.

Sarei davvero curioso di vivere ben oltre il naturale limite biologico, vedere dove ci condurrà il progresso, a tal proposito, lo confesso, il mio timore più grande è la morte.

E tutto lo spettacolo, ruota attorno a questo grande tema: la consapevolezza (tragica) che io giocatore, umano, dovrò morire, e lei, il mio avatar, è destinata a risorgere innumerevoli volte. Se il giocatore arriva a invidiare questa sua possibilità, contemporaneamente, il dramma di lei è il fatto di maturare progressivamente la consapevolezza, non di poter morire ma di essere rinchiusa in una gabbia, essendole totalmente precluso il sottrarsi a questo circolo eterno.

C’è inoltre un terzo personaggio, super partes: Algoritmo, l’entità oscura che governa il mondo digitale. Non è un personaggio assoluto, condivide anzi con il giocatore lo stesso delirio di onnipotenza: l’essere umano qui rappresentato è un solipsista, crede che tutto il mondo sia frutto del suo immaginario e che altro non esista, di essere lui l’unico sulla faccia della terra. Chi vincerà, sulla scena, nel confronto tra lui e Algoritmo?

Oltre a It’s App To You, questi temi continuano a suggestionare noi di Bahamut. Anche il nostro prossimo spettacolo, Dataism, in fase di lavorazione, indaga una tematica affine: se non propriamente lo sviluppo della tecnologia, le nuove forme di controllo da parte di Google e del suo algoritmo.

Inoltre, abbiamo intenzione di dare concretezza sempre maggiore al nostro “prototipo”: seppure in It’s App To You il controllo attraverso un’app si risolva ancora e comunque in finzione scenica, abbiamo recentemente partecipato ad un evento, StartUp Day, di Roma, con l’idea di sviluppare realmente questa applicazione. E ci siamo riusciti!

Con l’aiuto di un professionista del settore informatico, seppur ancora in una forma primordiale, l’app ha visto la luce, ed io stesso, attraverso il mio cellulare, ed un’auricolare collegato all’orecchio di Paola, ho potuto direzionarla, ed attraverso una sequenza codificata di input, fare in modo che lei facesse esattamente ciò che io le stavo comandando.

La nostra idea ha riscosso in quella sede molto successo, ed è questo il nostro scopo:

sviluppare ulteriormente e perfezionare questa applicazione,  affinché dotandosene, lo spettatore possa, attraverso il proprio cellulare, direzionare e fare in modo che l’attore sulla scena interagisca a suo piacimento con l’ambiente circostante.

In questo modo, aumenterebbe il suo coinvolgimento, la sua interazione, la responsabilità rispetto a quanto avviene sulla scena. Ciò è oggi realmente possibile».



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