La lettura di un testo teatrale corre spesso il rischio di incappare nella distrazione del pubblico, di perderlo anche solo per una manciata di secondi, di non essere vissuta in modo attivo e dinamico da una platea avvezza all’azione sulla scena. Un rischio che la compagnia Lacasadargilla ha fronteggiato in maniera sorprendente ne Il gatto verde, rendendo lo spettatore partecipe delle confessioni sincere e sofferte dei sei, ed unici, personaggi principali di questa mise en espace.

«Lo avete mai visto un gatto verde?» è la domanda che fin da subito mette in moto un meccanismo di scambio unilaterale di pensieri e ricordi riguardo un sabato sera che si è concluso con la morte di una delle ragazze protagoniste.

Seduti a poca distanza dalle prime file, sono lì sulle loro sedie, insieme nello spazio buio del palcoscenico ma isolati nel loro interrogatorio individuale. Parla anche lei, Bianca, la giovane sedicenne che ormai vive nelle confessioni di una sorella che si sente colpevole per averle cucito sulla giacca un bottone recuperato in un museo, convinta di aver così contribuito alla sua morte. Ogni giovane ha qualcosa da dire, colpe inconfessate, paure inespresse, sullo sfondo di una società che vede alternarsi a genitori asfissianti, famiglie assenti con genitori lascivi.

«Lo avete mai visto un gatto verde?» è la domanda che apre il corridoio tra pubblico e attori e che lo richiude nel finale toccante – e allo stesso tempo inquietante – in cui tutto si scopre e si rivela nella sua più struggente atrocità. 

Il gatto verde, presentato in occasione dell’ottava edizione di Short Theatre, incarna una riuscita trasposizione dello scambio artistico tra culture teatrali diverse promosso dal progetto europeo dedicato alla drammaturgia contemporanea Fabulamundi. Playwriting Europe. La Romania incontra l’Italia, Lisa Ferlazzo Natoli incontra Elise Wilk e la mette in scena elevando al massimo le potenzialità del suo lavoro.