Cinema

Drive In. Il braccio violento della legge: Pontiac LeMans

Michele Notizia

Non un classico di cinema e auto, il cult di William Friedkin, ma a Gene Hackman ed i suoi avversari è concesso guidare dei modelli dei veri gioielli.

Il braccio violento della legge, di William Friedkin, è un film del 1971, ispirato dal libro di Robin Moore, con un grandioso Gene Hackman (Jimmy Doyle, Oscar per il migliore attore protagonista), Fernando Ray (Alain Charnier; ingaggiato nel cast per sbaglio) e Roy Scheider (Buddy Russo). Il titolo non tragga in inganno, la pellicola non ricalca affatto il classico stereotipo “volgare” di poliziesco americano (il titolo originale è The French Connection, termine usato per l’ingente movimento di affari dei gangster marsigliesi in USA).

E sarebbe ingiusto anche solo pensarlo, dopo la collezione di 5 Oscar su 8 Nomination agli Academy Awards del 1972 . Certo sono ben presenti gli stilemi fondamentali: il detective (Doyle) testardo che vuole a tutti i costi la testa del “cattivo”; quest’ultimo, che è un ricco francese trafficante di droga (Charnier) che cerca di smerciare stupefacenti negli Stati Uniti. Nel mezzo indagini, pedinamenti, proiettili (non sparati in maniera gratuita) e, soprattutto, inseguimenti.

Uno solo, a dire il vero, ma entrato nella storia. Forse anche per la sua particolarità: non tra due o più auto, ma tra un’automobile e la metropolitana di New York. Tralasciando la nota trama, arriviamo al tentato omicidio di “Popeye” Doyle da parte del braccio destro di Charnier.  Dopo un primo inseguimento a piedi, il killer riesce a confondersi tra la gente e poi prendere la metropolitana (spesso presente nel film, protagonista nell’ “inseguimento” in cui Charnier entra ed esce dal vagone per seminare Doyle). Dopo aver perso il treno il nostro detective cerca di intercettare una vettura; gli passano davanti un Maggiolino ed una Ford, che per sua fortuna non si fermano (essendo auto poco adatte ad un inseguimento).

Buona la terza: l’ispettore ha tra le mani una potentissima berlina, una Pontiac LeMans del 1971, con un motore V8 da oltre 300 cavalli, tutto in puro stile americano. L’inseguimento, che ha fatto scuola, è molto particolare: la macchina percorre l’ombra del binario sopraelevato della metropolitana ad alta velocità, seguendo il treno che non fa le dovute soste alle fermate (il macchinista è in ostaggio del killer). Correndo tra i sobborghi newyorkesi la vettura, per seguire la strada, rimedia molte ammaccature, tra cui due incidenti con altri veicoli, uno della nettezza urbana ed uno con un’auto civile.

Quest’ultimo fu un vero incidente, non previsto: il povero proprietario percorreva quella strada per recarsi a lavoro. Fu risarcito completamente, anche per evitare troppi “rumori”: pare infatti che la produzione non avesse i permessi giusti per filmare una scena del genere, ma furono solo creati dei blocchi del traffico da alcuni ex-poliziotti (non proprio efficienti, a quanto pare). Non solo: la scena in questione non solo non fu sceneggiata, ma anzi ideata al momento studiando la struttura delle strade, e fu anche realizzata in maniera realistica e dunque troppo pericolosa per i membri della troupe, che avevano famiglia.

William Friedkin, il regista, non ne aveva e dunque era “sacrificabile”, filmandola lui stesso, scandendo la sequenza con in mente Black Magic Woman di Carlos Santana. Se la Pontiac è la protagonista “dinamica”, c’è una meno appariscente comparsa “statica”: la macchina in cui è contenuta la droga. La vettura è una lussuosa Lincoln Continental Mark III, lasciata parcheggiata in un quartiere malfamato e poi recuperata dalla polizia dopo un tentativo di furto. Portata nelle officine del NYPD, i detective non riescono a trovare droga, nonostante la vettura sia stata completamente disassemblata, ad eccezione delle cavità del pianale sotto le portiere (nel libro Moore parla di un’altra vettura, la Buick Invicta, molto popolare tra i trafficanti proprio per questi suoi “astucci particolari”): dopo aver smantellato la copertura ecco trovati i pacchetti.

Arrivato in distretto il proprietario della macchina, un regista francese amico di Charnier, i tempi si stringono per consegnare l’auto. Per non dare sospetto e seguirla, la macchina deve sembrare perfetta, e dunque bisogna farla tornare nelle condizioni di prima della perquisizione. Una frase in sovrimpressione ci dice che ci sono volute 4 ore per riassemblare perfettamente la vettura… Sebbene sia poco credibile, l’espediente funziona ed il pedinamento serve, riuscendo a mettere le mani sui criminali (ma non tutti…). Certo, forse quest’ultima parte non è eccitante come quella dell’inseguimento tra treno ed auto. E magari, anzi sicuramente, non è un “film d’auto” vero e proprio, ma resta sicuramente riuscito ed affascinante.



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