Arti Visive

Digital Life – Human Connections

Renata Savo

Anche quest’anno, la Fondazione Romaeuropa si è occupata dell’allestimento di una mostra che esalta l’unione di arti performative e arti visive, natura e tecnologie digitali. “Connessioni umane”. “Human Connections” è il sottotitolo dell’edizione in corso, la terza, di Digital Life.

Rispetto alle precedenti edizioni la mostra si è ampliata, occupando due spazi – più un terzo, l’Opificio Telecom Italia, dove si terranno proiezioni video e incontri con gli artisti: l’Ex GIL a Trastevere, dedicato alle realtà emergenti e il MACRO Testaccio. Qui si trova una rassegna di opere d’interesse anche storico, partendo dal padre della videoarte Nam June Paik per arrivare al presente, passando per installazioni video di performance di coreografi noti – Jan Fabre e William Forsythe – e una sezione dedicata a Le Sacre du Printemps di Stravinskij, con foto di versioni più o meno recenti, scattate da Pietro Tauro, passaggi video del Sacre di Cristina Rizzo composto da un ensemble di soli uomini e, a parte, una grande installazione di Katarzyna Kozyra, affermata artista polacca, che ha creato un’interessante commistione di linguaggi rendendo omaggio alla coreografia di Nijinskij su sette schermi giganti, disposti in due cerchi uno dentro l’altro – proprio come in scena – all’interno dei quali si muovono energicamente, su uno sfondo bianco e bidimensionale, le figure “nude”, ironiche, sessualmente ambigue di anziani danzatori.

Tra le altre opere notevoli di questo spazio, Bruegel Suite dell’artista Lech Majewski: una sorta di trittico (più un quarto schermo sulla parete che fa da angolo) che cala l’osservatore dentro il paesaggio vivente di un famoso dipinto, una mise en abîme sull’artista fiammingo al lavoro all’interno del suo stesso quadro; da segnalare, anche la proiezione del film The Orchestra (1990) del regista polacco Zbigniew Rybczynski – di suo c’è anche il film sperimentale The Fourth Dimension (1988) – un film di una bellezza e di una potenza immaginifica surreale, grazie alla sorprendente qualità degli effetti speciali.  

All’Ex GIL, invece, abbiamo incontrato i lavori di giovani artisti, lì presenti per svelarci il loro pensiero dietro le installazioni. Alcune delle opere, qui, sono concettualmente legate attraverso fili sottili, come Audience di Francesca Montinaro e La perversione del dittatore degli overLAB-project; entrambi gli artisti, infatti, usano l’interazione tra il pubblico e l’opera per far riflettere sulla manipolazione del consenso.

“Chi osserva chi?” viene da domandarsi di fronte all’installazione della Montinaro, che ha disposto come in una platea televisiva una serie ripetuta di sguardi in semicerchio attorno all’osservatore. “Spesso ci fanno credere”, afferma l’artista, “anche quando si tratta di votazioni politiche, che il consenso sia unanime, ma in realtà la maggioranza è solo una fetta dell’intero… Parto dalla televisione come strumento di manipolazione del consenso perché è anche un luogo fallace”. E quando le chiedo quanto sia importante per il suo lavoro la tecnologia digitale, mi risponde: “Oggi la tecnologia è fondamentale per creare l’interazione con il pubblico. Tuttavia, in quanto anche scenografa, mi piace servirmi di elementi teatrali come un fondale o lasciarmi aiutare dal light designer nel posizionamento delle luci”.

Nell’installazione degli OverlLab-project, La perversione del dittatore, il discorso sulla manipolazione del consenso attraverso il potere mediatico si fa più giocoso e infantile. Sulla fragile superficie di palloncini bianchi sono proiettati volti umani: ogni individuo contemporaneamente si apre all’artista e racconta il suo sogno, esprime la parte più intima di sé. Nessuno, però, riesce a emergere sugli altri, creando una massa informe di parole inafferrabili, fino a quando lo spettatore-dittatore non interviene a trasformare il coro in linguaggio universale e comprensibile a tutti. Risata o pianto. Sta a lui decidere.

Bellissima l’installazione dei Quiet Ensemble, Orienta: è qui ora, che decido di fermarmi, che portano su una lastra bianca di vetro lumache vere per celebrare un “elogio alla lentezza”. “Le lumache, conosciute come animali lentissimi, danno l’impressione di immobilità. In realtà l’osservatore può allontanarsi dieci minuti, tornare e loro hanno compiuto un loro percorso, di cui noi teniamo traccia attraverso una telecamera e un sistema a infrarossi che riproduce sull’asse una scia luminosa”. Ai quattro angoli, dei sensori rilevano gli spostamenti delle lumache; alla loro disposizione nello spazio corrispondono particolari suoni, di una natura cibernetica. “Dilatati elettronicamente, come il tempo per le lumache” (che, ricordano gli artisti, compiono in un mese il tracciato che l’uomo compie in un giorno) – “i suoni immergono l’osservatore in uno spazio che mantiene idealmente il suo contatto con la vita, perché generati dalla vita stessa”.

La natura è al centro anche dell’installazione Frozen Nature di Noidealab, ma qui è lo spettatore a governarla attraverso la sua posizione rispetto all’opera. Può decidere di congelare il tempo e i flussi d’acqua, ma anche farsi demiurgo di una natura aliena, grazie a un sistema di luci che crea l’illusione di un’acqua che scorre al contrario, che sfida le leggi di gravità. Un’opera sulla natura, ma di una bellezza urbana, che evoca con le sue linee verticali palazzi o grattacieli, accompagnati dal suono di cascate che altro non è, svela l’artista, che “rumore bianco”.

 

Per informazioni dettagliate, rimando al sito http://romaeuropa.net/it/digitalife-3.html



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