Arti Performative Dialoghi

#Dialoghi. Intervista a PierGiuseppe Di Tanno: la rapsodia di un’anima coi capelli blu

Andrea Zangari

Roberto Latini, Per voce sola è un progetto de La Soffitta 2018 a cura di Fabio Acca
 in collaborazione con ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione che si svolgerà da domani 6 all’8 novembre a Bologna, dove sarà possibile vedere tre dei più recenti spettacoli di Fortebraccio TeatroCantico dei Cantici (6 novembre, ore 20.30, Arena del Sole), I giganti della montagna (7 novembre, Laboratori delle Arti – Teatro in Piazzetta Pasolini, 5b), Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi? (8 novembre, Laboratori delle Arti – Teatro).

In vista di questa importante occasione, e in seguito alla tappa romana a Short Theatre di Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi? (anche recensito sulle nostre pagine in occasione del festival Inequilibrio di Castiglioncello), pubblichiamo la nostra intervista all’attore solista in scena PierGiuseppe Di Tanno.

Partiamo dal qui ed ora. Cosa fa oggi PierGiuseppe Di Tanno? Cosa sta producendo, pensando, preparando? Come si sente?

Nel tempo presente mi intrattengo con me stesso – dopo essermi lasciato guardare dagli altri, ora rivolgo a Pier questo suo paio di occhi. Come dopo una lunga corsa o una danza forsennata, trovo un piccolo luogo, e ci cresco dentro: è quando mi fermo, che sento di trasformarmi, e lo spirito sogna nuove creazioni. Tutta una questione di ritmo. Ora, disegno la mappa per perdermi di nuovo. Da qui, come un faro, butto luce intorno per sentire dove spostare questo scheletro che sto ripulendo. Perciò desidero cogliere le tue domande come occasioni preziose di rispondere a me stesso. Oggi vivo un tempo in cui l’immaginario può spalancarsi oltre le misure, e dove ogni dettaglio del quotidiano è stupore. Resto nella disponibilità di un prossimo invito, perché mi trovi leggero e pronto a prendere il volo. Per dirla bene con le parole di un poeta che amo, sto “avendo cura del mio nulla”. E non so se tingere i capelli di blu. Ma forse tu alludevi al teatro. Anche tutto questo lo è, e lo fa. Provare, provarci sempre, giorno e notte. 

Qual è il luogo che hai trovato adesso?

Attualmente sto tutto in uno zaino. Da una manciata di anni scorro come uno zingaro: ho attraversato tanti luoghi che mi hanno incantato, e non ho ancora scelto di fermarmi in un posto. È bello partire, è bellissimo ritornare. 

Io ti ho visto in scena a Short Theatre con Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi?. Nella sua preparazione, con Roberto Latini, ti senti cresciuto? 

Sì. Mi sento trasmutato, come per incantesimo.

Che percorso hai/avete tracciato?

La famiglia di Fortebraccio Teatro è meraviglia. Come chi ha saputo fare di sé capolavoro. Trovo difficile scegliere una voce per rivelare un incontro che continua ad accadere al di là delle parole. Ci siamo permessi di non dire mai come “andava fatto”: liberi di scavare oltre il margine di un’esecuzione, e uniti nella disposizione ad offrire piacere e a fidarsi, per andare col vento giusto. “Non disturbare mai lo spettacolo”, dice Roberto. È lo spettacolo che va necessariamente in scena, attraverso di noi: parlo quindi di una totale vocazione al farsi medium, ed essere a servizio di un’offerta d’Amore. Si è trattato di edificare in me lo spazio d’accoglienza per il diluvio di questo dramma famigliare, dove ognuno dei fantasmi reclama violentemente il palcoscenico, pretende la vita. I personaggi sono le parole, per noi: io aspetto che si stacchino dalla pagina, mi unisco al loro ac-cadere nel teatro, insieme all’eventualità del loro poter essere non dette. E poi di edificare lo sguardo di chi sarà testimone della creazione: in questo caso allo spettatore viene chiesto di essere un virtuoso, di essere avido di meraviglia. Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi? si fa più che mai insieme al pubblico, pericolosamente. C’è un invito costante: l’immaginazione è un diritto, e qui potete esercitarlo con pieno potere.

Su quali binari ti trovi dopo questa esperienza?

La posizione di chi sta solo di fronte ad una platea è un luogo fragile: ora sento più vitale la responsabilità del sogno che i testimoni della mia presenza sulla scena mi consegnano. Credo che chi si sente chiamato a partecipare risponda al desiderio di sconfinare il quotidiano, e dunque durante il tempo del teatro sono io il custode dei sogni di tutti gli altri: questo fa di me un mago, la figura di un’allucinazione miracolosa. Riconosco sempre più che l’attore può essere qualunque cosa, che “io” è l’”altro”. C’è una festa e l’attore è quel vortice che ci incanta. Continuo a bruciare, “a giuocare a far sul serio”, figliastro del teatro anche io, come l’eroina del testo. 

Come è cambiato il tuo camminare, dopo questo cammino?

Non esiste ancora, quel “dopo”. Sono in questo volo, ora, con tutto il corpo e con tutto quello che c’è dentro questo corpo. Adesso inizia la “Vita” dello spettacolo, e con essa, chissà, anche quella di tutti i suoi personaggi. Chiedo solo di poter esser loro fedele servitore. 

Dove ti potremo vedere in scena nell’immediato futuro? 

Nel futuro prossimo c’è Sei. E dunque, perché si fa meraviglia di noi?, l’8 novembre a Bologna, all’interno di un progetto speciale ERT dedicato a Roberto Latini e realizzato in collaborazione con il Centro la Soffitta – Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna. Sarà l’occasione per un particolare affondo pirandelliano della poetica di Fortebraccio: il giorno prima andrà in scena “I Giganti della Montagna/radio edit”. C’è poi un altro invito: dal 19 al 23 novembre presso il Teatro Thesorieri di Cannara (PG), grazie a Strabismi, attiverò il primo PERFORMATORIUM. Si tratta di un lavoratorio/antiworkshop, un “retreat” per performer di ogni genere e oltre il genere. Cinque giorni per condividere pratiche e scenari.

Visualizza PierGiuseppe a teatro, la prima volta (da attore o spettatore). Cosa vedi? Cosa diresti all’orecchio di questo fantasma?

Visualizzo seduto in una cavea un ragazzo che ride fortissimo guardando la testa insanguinata di Penteo conficcata sul tirso di sua madre Agave. Vorrei sussurrargli, dolcemente: “Perché sghignazzi così? Potresti fare la sua stessa fine”.



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