Arti Performative Dialoghi

Intervista a Ivan Bellavista

Annagiulia Scaini

Dal 7 al 18 gennaio, al Teatro dell’Orologio di Roma il nuovo spettacolo di Ivan Bellavista, “Molière immaginario”. Scopriamo insieme di cosa si tratta

Reduce dal successo come attore al fianco di Antonio Rezza in 7-14-21-28 e Fratto X e come autore con Gastone, da Ettore Petrolini, in occasione del debutto capitolino di Molière immaginario abbiamo fatto un paio di domande a Ivan Bellavista, interprete, ideatore e autore dell’opera che sarà in scena dal 7 al 18 gennaio al Teatro Orologio di Roma, di cui siamo media partner.

In Molière immaginario interpreti il ruolo di Don Giovanni, un personaggio sicuramente noto che non ha bisogno di presentazioni. Tra i tanti autori che hanno deciso di portare in scena “Don Giovanni”, perché la tua scelta è caduta sul personaggio presentato da Molière, seppur si tratta di un “Molière immaginario”?

La scelta di Molière? Un pretesto vero e proprio. Volevo avere tra le mani una materia trattata e ritrattata da molti prima di me, un classico. Un testo sacro che nel suo essere “intoccabile” solleticava la mia voglia di osare. Mi piaceva molto l’idea di tradire e dare allo spettatore qualcosa che non conosce o crede di conoscere. Non direi che “interpreto” Don Giovanni in questo spettacolo, come Sandra Conti non-interpreta Donna Elvira e lo stesso vale per Matteo Di Girolamo, con Sganarello. Sono delle icone e così ci divertiamo di più a farli parlare come parliamo noi, a mettergli addosso i nostri tic, a farli muovere e relazionare tra loro come nessun regista ha osato mai, a fargli vivere una dimensione talmente estemporanea che Ivan, Sandra e Matteo si confondono con loro stessi e con i personaggi del copione. Questo è un lavoro rivolto prettamente agli attori che siamo noi. Non fossimo stati noi sarebbe nato un altro spettacolo. Non lo chiamerei nemmeno spettacolo, mi piace di più chiamarlo “gioco”.

Don Giovanni viene catapultato nel presente, all’interno di una delle realtà mediatiche più gettonate a livello internazionale, quella del talk show. Un passato blasonato e un presente criticato convivono sul palco. Qual è il motivo che ti ha spinto a realizzare questo connubio e chi è in quel momento Don Giovanni, un uomo comune, un partecipante, una vittima dei mass media?

Un perché al fatto che il nostro Molière Immaginario inizi in un talk show non c’è. Io, Sandra e Matteo abbiamo fatto come i medium durante le sedute spiritiche: abbiamo fatto andare la nostra immaginazione (ma anche la nostra incoscienza) giocando in prova con l’improvvisazione là dove da seduti non saremmo mai arrivati. Non ci siamo prefissati nulla, tantomeno io che ho voluto lo spettacolo. Avevo solo la necessità di rapportarmi col palco in maniera schietta, non prendendomi sul serio ed essere il più sincero possibile. Nel nostro spettacolo, a forza di gag e di sfrontati raffronti, Don Giovanni è preda di una scaduta validità scenica, Donna Elvira diventa una maschera dell’ipocrisia e del gretto e Sganarello si trasforma in quello che farebbe Sganarello ai nostri giorni: il conduttore TV. Noi cantiamo l’elogio funebre del teatro classico a suon di risate. Spero.

Le tue esperienze pregresse, i vari spettacoli a cui hai preso parte, come e in che modo hanno influito nella scelta del soggetto di questo spettacolo? Cosa hai portato con te nella realizzazione del Molière immaginario?

Forse uno dei motivi per cui ho scelto di prendere come riferimento Molière per le mie pazzie è stato proprio perché nessuno si aspettava una scelta del genere. Gli occhi sgranati delle persone a cui dicevo che il mio prossimo progetto sarebbe stato Molière ancora me li ricordo. Dopo sette anni di lavoro con Rezza e Mastrella, scegliere “Don Giovanni” è stato un mio personale manifesto di come un attore è tutto e può fare tutto. Il rigore e lo studio, la fatica e la passione sono le stesse, ogni volta che si è in scena, al naturale o in costume. La bellezza del fare il mio mestiere non è avere una bella parte, bensì avere proprietà dello spazio scenico, gli occhi della platea su di te. L’attore è come un capo branco: diventi capo branco quando ti sai muovere bene nello spazio. Io punto a stare a mio agio.

Sei un giovane artista che, grazie all’impegno e al duro lavoro, sta riuscendo ad ottenere grandi soddisfazioni. Quali sono i tuoi progetti per il futuro e cosa puoi dire ai tanti giovani che si affacciano al mondo del teatro? 

Il mio progetto per il futuro è quello di divertirmi e far sì che ogni mio passo venga deciso solo ed esclusivamente da me. Io amo stare in scena e sentirmi responsabile di quello che faccio mentre sudo sul palco. Non voglio altro. Non mi sento assolutamente arrivato ad un punto in cui posso dire di essere soddisfatto. Essere insoddisfatto è vitale e poi io lo sono di natura. Non sono una persona da consigli ma se proprio ne dovessi dare alcuni, ricambierei quelli che mi do sempre io: ascoltare, leggere, rubare il meglio ed essere un pizzico presuntuosi. Lavorare e non aspettare che dal cielo arrivi l’opportunità (che nella mia generazione viene sempre fraintesa con “sovvenzioni statali”). Lavorare in gruppo con persone capaci e perdere meno tempo possibile. E poi, primo tra tutti, divertire se stessi. Il modo migliore di divertire gli altri.



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