Arti Performative

Antonio Tagliarini/Ambra Senatore – Bis

Renata Savo

Ambra Senatore e Antonio Tagliarini fanno il “bis” de L’ottavo giorno, spettacolo del 2008 che il duo ha rivisitato in una nuova veste.

Uno spettacolo che ricomincia dalla fine, senza avere un inizio, o meglio, l’inizio è la sua fine. Ambra Senatore e Antonio Tagliarini fanno il “bis” de L’ottavo giorno, spettacolo del 2008 che il duo ha rivisitato in una nuova veste. Come il suo antecedente, Bis è una riflessione sull’atto della creazione, sulla frenesia dell’artista instancabile, ripreso mentre tenta di dare forma alle sue idee.

Dopo un breve assolo di Ambra Senatore, i due artisti si ritrovano in scena insieme. Un po’ timidi, sorridono e s’inchinano. Poi si guardano, sorridono e fanno un altro inchino. Ripetono più volte il rito, poi, come da prassi, uno alla volta avanzano verso il proscenio per strappare l’applauso al pubblico. Fanno qualche passo indietro, sorrisi, strizzatine d’occhio, e così via. Per i primi quindici minuti circa si gioca sulla relazione tra performer e spettatore, sulla percezione dell’evento scenico, che si riduce in azioni di rito post-esibizione.

I gesti consuetudinari diventano moduli coreografici da accumulare uno sull’altro e sui quali far viaggiare la fantasia finché, a un certo punto, non si va a ritroso. Non ci si dirige, però, verso un “inizio”, ma in direzione di quello che potrebbe esserci stato “prima” dello spettacolo: il suo concepimento. I performer portano in scena degli arredi e cominciano a esperire a canone tutte le relazioni che si possono creare all’interno dello spazio scenico; li dispongono e li riposizionano, in orizzontale e in verticale, provando ad accostarli a sé e trattando, quindi, anche il proprio corpo alla stregua di un oggetto scultoreo o come parte di una composizione pittorica. Si congelano in pose plastiche, cariche d’ironia, e poi riprendono il loro lavoro come sempre, da artisti perennemente in cerca di un effetto desiderato. E nel riprendere gli oggetti, spostarli e riposizionarli, il duo crea interessanti disegni coreografici sulla superficie bianca e asettica che li circonda.

Proprio come una pagina bianca da riempire, gli artisti scrivono la scena con le loro idee, che si evolvono in prove tangibili dell’enorme distanza che separa la realtà dalla finzione. Il culmine di questa tensione si raggiunge nell’ultimo quadro, in cui i due performer riproducono un angolo di paradiso terrestre del tutto artificiale, dove un finto Adamo e una finta Eva vivono persino la loro nudità come la più costruita (e ironica) delle finzioni.

E dopo la riflessione sulle origini dell’evento teatrale, passando attraverso l’apoteosi della sua finzione, i due performer possono tornare alla realtà, con il pubblico che applaude convinto in sala. Questa volta, però, gli applausi sono veri e tutti meritati.



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