Arti Performative Focus

Tiago Rodrigues, l’arte del teatro fra memoria e linguaggio

Redazione

Tiago Rodrigues, attore, regista, direttore artistico del Teatro Nacional D.Maria II di Lisbona, si può dire quest’anno artista amato all’Italia; “Scene Contemporanee” ha avuto la fortuna di incontrare la sua opera in diverse occasioni.
La prima è stata quest’estate, alla Centrale Fies di Dro (TN), il work art space di Supercontinent2, XXXVIII edizione del festival Drodesera, dove è andato in scena By Heart. La seconda ha visto Rodrigues impegnato in qualità di regista per il progetto Ecole des Maîtres, master internazionale di alta formazione che fu voluto e diretto da Franco Quadri 27 edizioni fa, e strutturato in forma itinerante in più Paesi europei, che oggi ne sono diventati partner ed eredi: partecipando a un progetto condiviso, viene offerta a giovani attori professionisti europei la possibilità di confrontarsi con i processi di lavoro dei più importanti registi della scena contemporanea. Quello che al termine del master viene restituito al pubblico, dunque, costituisce non una vera e propria produzione, ma l’esito di un percorso di formazione. Tra i partner internazionali dell’Ecole des Maîtres, anche il festival romano Short Theatre, in apertura del quale, appunto, è stata presentata al Teatro India la performance Pericolo Felice con gli allievi dell’edizione 2018. Sempre nell’ambito della 13^ edizione di Short Theatre è andato in scena, infine, alla Pelanda, e in prima nazionale, Antonio e Cleopatradi cui Tiago Rodrigues ha firmato il testo – che contiene anche citazioni dall’omonima tragedia shakespeariana – oltre che la regia. Vi offriamo, qui, il nostro sguardo sulle tre performance.

“By Heart”. Foto di Magda Bizzarro

By Heart

scritto ed eseguito da  Tiago Rodrigues
Testo con frammenti e citazioni di William Shakespeare, Ray Bradbury, George Steiner, Joseph Brodsky, oltre ad altri
scenografia, oggetti di scena e costumi Magda Bizarro
traduzione inglese Tiago Rodrigues, revisionata da Joana Frazão
produzione esecutiva della creazione originale Magda Bizarro, Rita Mendes
produzione Teatro Nacional D. Maria II, dopo una prima creazione della compagnia Mundo Perfeito
co-produzione Espaço do Tempo, Maria Matos Teatro Municipal
con il support di Governo de Portugal | DGArtes

Visto il 27 luglio 2018 a Supercontinent2, XXXVIII edizione del festival Drodesera (Dro, TN) 

Esiste una sottile e misteriosa relazione tra il cervello e il cuore. Una branca della neurologia visualizza il secondo come un muscolo dotato di un centro in grado di ricevere ed elaborare informazioni: il cosiddetto “cervello del cuore” permetterebbe all’organismo, infatti, di imparare, ricordare e prendere decisioni funzionali indipendentemente dalla corteccia cerebrale. La relazione tra i due organi non risulta nuova alle arti performative: verso la metà degli anni Sessanta, la coreografa tra le fondatrici della postmodern dance Yvonne Rainer intitolava un suo lavoro The Mind is a Muscle, sottolineando l’abilità del cervello di monitorare i movimenti delle articolazioni all’interno di una partitura fisica in cui era richiesto al corpo, in alcuni punti, un accentuato sforzo di coordinazione. Sulla stessa lunghezza d’onda, ma invertendo i cardini di questa tensione, By Heart di Tiago Rodrigues. Impeccabile showman, l’attore portoghese tiene in mano le redini di uno spettacolo agonistico, fortemente ludico: i partecipanti, spettatori reclutati al momento, devono imparare a memoria, coadiuvati dalle istruzioni dell’attore-tutor, il sonetto n. XXX di William Shakespeare tradotto in italiano, prima da soli e poi in coro. Indeterminata la durata della performance, quindi, che varia a seconda della capacità di non lasciarsi soggiogare dalle emozioni, e del livello di allenamento delle personali facoltà mnemoniche. Nella spaziosa Sala Comando della Centrale Fies di Dro, su dieci spettatori, alta è stata la percentuale di quelli in lingua straniera che con audacia hanno deciso di prendere parte all’esperimento, fattore che senz’altro ha contribuito a rendere l’obiettivo ancora più ostico e interessante, perché come affermato dallo stesso Rodrigues tra il serio e il faceto, «il pubblico ama vedere la vulnerabilità e il fallimento». Rodrigues si diverte molto infatti a giocare con ciò che accade istante dopo istante, generando allusioni, effetti comici o persino autoironici. Tuttavia, la sua riflessione si staglia su un orizzonte più ampio del mero show, spostandosi sull’importanza della trasmissione di informazioni in un’epoca che sta smarrendo la necessità di immagazzinare informazioni con il corpo e la mente. In modo assai raffinato, il messaggio viene veicolato su più livelli. Imparare a memoria, che in portoghese si traduce con aprender de cor (da qui il titolo dello spettacolo) – spiega infine Rodrigues al pubblico – è come decorar, “arredare”, e quindi ha a che fare con l’azione materiale di riempire una stanza (la mente) di mobili e cassetti (informazioni, memorie). Su un altro livello, forse ancora più elementare, il ricordare stesso funge da tema dominante del sonetto shakespeariano e motore della poesia («Quando all’appello del silente pensiero / io cito il ricordo dei giorni passati, /sospiro l’assenza di molte cose bramate […]»). E poi, ancora, non mancano esempi che attingono sia a ricordi intimi (veri o no, non ha importanza) del regista e attore: la storia della nonna ricoverata che, diventata cieca, gli chiedeva di aiutarla a imparare un libro a memoria; gli aneddoti di intellettuali e scrittori con qualche particolare, stramba ossessione, come nel caso di Ray Bradbury, l’autore di Fahrenheit 451 (nel romanzo distopico non a caso si realizza la più grande paura per la distruzione di tutto il patrimonio librario esistente), che sentiva l’esigenza di trascrivere le trasmissioni radiofoniche tentando di andare “a memoria”. Animale da palcoscenico per quanto riguarda la sua funzione di entertainer, Tiago Rodrigues è mago anche nel trascinare il pubblico seduto in platea, moltiplicando gli sforzi dei dieci partecipanti fino a dare vita, al di là della quarta parete, a un’orchestra di voci che il regista dirige divertito, per divertire a sua volta.

(Renata Savo)

 

Ecole des Maîtres 2018

Pericolo Felice

Corso internazionale itinerante di perfezionamento teatrale
diretto da Tiago Rodrigues
in scena gli allievi attori Elsa Agnes, Diego Bagagal, Nicola Borghesi, João Cravo Cardoso, Adrien Desbons, Victoire Du Bois, Valentino Mannias, Deborah Marchal, Aleksandros Memetaj, Ilyas Mettioui, Diana Narciso, Camille Pellicier, Paola Senatore, Marie-Charlotte Siokos, Simon Terrenoire, Nádia Yracema
partner di progetto e direzione artistica  CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia (Italia), CREPA – Centre de Recherche et d’Expérimentation en PédagogieArtistique (CFWB/Belgio), TAGV – Teatro Académico de GilVicente (Portogallo), La Comédie de Reims – Centre Dramatique National, Comédie de Caen – Centre Dramatique National de Normandie (Francia)
con il sostegno di MiBACT – Direzione Generale Spettacolo dal vivo, Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia – Direzione centrale cultura, sport e solidarietà (Italia)

Visto il 5 settembre 2018 al Teatro India di Roma, in apertura di Short Theatre

Sedici corpi, sedici generatori di parole e luce sono la scenografia, il testo, l’oggetto di questo esito pubblico dell’Ecole des Maîtres 2018. Pericolo felice è un titolo che descrive davvero il cuore dell’operazione-realtà che Tiago Rodrigues e i ragazzi selezionati hanno elaborato e offerto in scena. Pericoloso è il mestiere del traduttore, che, come secondo quanto mai inflazionata vibrazione etimologica, non può che essere traditore. Ma ci è rivelata anche la natura “felice” di questo pericolo: il lavorio disperato e divertito del farsi capire genera linguaggio, fa sintassi tra le labbra e i loro suoni. Fra due “mots” irriducibili l’uno all’altro, ne nasce un terzo, nuovo, unico e vero perché specificamente partorito dal desiderio di comprendersi. La diversa nazionalità degli attori è pretesto per dischiudere il tema infinito del valore unico della parola, così intimamente legate all’infanzia, al dialetto, alla lingua-madre che prescinde da regolamenti e codici, o meglio li trascende. Infine si scopre che la diversità normata fra l’italiano, il francese e il portoghese, è solo una piccola increspatura, un capriccio accademico ben più superabile del corpo-memoria di ogni soggetto.
La costruzione drammaturgica è annunciata, in italiano, in apertura di scena: un dialogo tra l’Io e una proiezione, un fantasma. Di qui seguono variazioni sul tema, rimpalli lessicali di coppia in coppia con azioni armoniosamente dissonanti, in cui tutti e ciascuno de-formano il senso del modulo. Evidentissimo l’apporto veritiero e personale del singolo, annunciato da Tiago Rodrigues come cifra di un teatro che non si cura preminentemente d’essere arte. «Voglio stare a teatro come durante un naufragio: prima si pensa alle persone e poi si vede cos’altro si riesce a salvare». La quarta parete non cade dunque sul coinvolgimento banale e retorico del pubblico nel tempo della fruizione, ma nella più essenziale rappresentazione di un Io collettivo in cui ognuno può strutturalmente identificarsi.
Resta fuori discussione la maturità tecnica dei singoli sulla scena, a cui è giova una libertà interpretativa così profonda da non lasciar avvertire alcuno iato stilistico. Quel vuoto è al contrario il soggetto, l’ambiente, la tensione erotica entro cui Pericolo Felice si gioca. Notevole anche il valore poetico intrinseco del testo “trovato”, una polifonia non riducibile a traccia scritta, consistente nelle difficoltà lessicali che gli attori attraversano nell’usare idiomi diversi dai propri. Vi resta comunque percepibile, in frammenti e figure evocate, l’abilità di scrittura di Rodrigues, che si è misurato spesso con saggistica, poesia e riscrittura di classici: le parole fluttuano, ma non perdono il loro peso. Esistono, tragicamente, “come rami sotto il peso della neve”.
Viene voglia di seguire le successive rappresentazioni pubbliche, ove presumibilmente il peso di ogni lingua si tarerà di nuovo a seconda del paese ospitante, riscrivendo la trama, correndo ancora, appunto, il pericolo felice di perdersi provandoci.

(Andrea Zangari)

 

“Antonio e Cleopatra”

Antonio e Cleopatra

testo Tiago Rodrigues, con citazioni da “António e Cleópatra” di William Shakespeare
regia Tiago Rodrigues
con Sofia Dias e Vítor Roriz
scenografia Ângela Rocha
costumi Ângela Rocha, Magda Bizarro
disegno luci Nuno Meira
estratti musicali dalla colonna sonora del film “Cleópatra” (1963) di Alex North
collaborazione artistica Maria João Serrão, Thomas Walgrave
allestimento del palco Decor Galamba
traduzione inglese Joana Frazão
produzione esecutiva Rita Forjaz
produzione esecutiva nella creazione originale Magda Bizarro, Rita Mendes
produzione TNDM II dalla creazione originale della compagnia Mundo Perfeito
coproduzione Centro Cultural de Belém, Centro Cultural Vila Flor, Temps d’Images
residenza artistica Teatro do Campo Alegre, TNSJ, Alkantara
ringraziamenti Ana Mónica, Ângelo Rocha, Carlos Mendonça, Luísa Taveira, Manuela Santos, Toninho Neto, Rui Carvalho Homem,  Salvador Santos, Bomba Suicida
con il supporto Museu de Marinha

Visto l’8 settembre 2018 alla Pelanda – MACRO Testaccio, nell’ambito di Short Theatre

“Provocare realtà” è il sottotitolo della 13^ edizione di Short Theatre, dove infatti le provocazioni, anche quelle un po’ fini a se stesse, purtroppo non mancano. Parliamo di Antonio e Cleopatra, un’ora e venti di spettacolo piuttosto monocorde in cui due attori, Sofia Dias e Vitor Roriz, si palleggiano battute ispirate ai protagonisti della tragedia shakespeariana, recitando la storia d’amore tra il triumviro e la regina d’Egitto usando la tecnica dello straniamento del teatro epico di Bertolt Brecht. Figure sospese tra storia e leggenda, Antonio e Cleopatra, nella regia di Rodrigues, altro non sono che due esseri umani in tutto simili a noi, ma le loro parole sono cerebrali e spogliate di qualsiasi sentimento, tese come sono a riprodurre tonalità e immagini di un’estetica che sulla scena appare stantia, quella del kolossal cinematografico del 1963 che ha per protagonisti Elizabeth Taylor e Richard Burton, di cui utilizza la colonna sonora (di Alex North). La reiterazione del meccanismo brechtiano («Antonio dice che…»; «Cleopatra espira…») finisce per diluire l’azione fino ad avere come risultante l’esposizione di una sceneggiatura (senza risparmio di didascalia alcuna) e non la rappresentazione della tragedia; anzi, questo approccio viene del tutto scoraggiato, prosciugato per dare spazio a una coppia di amanti che diventano parti di un’unica essenza, due polmoni di un solo corpo che, da testo drammaturgico, inspiranoespirano e fanno del proprio io l’altro e dell’altro la culla del proprio io. Va bene, interessante, in fondo, questa parola che funge da campo e controcampo sul palcoscenico, che filtra la realtà del dramma come i vetri colorati che pendono a sinistra sulla scena, raccolti in un’unica elegante installazione, che stanno davanti all’obiettivo della macchina di un teatro, di un linguaggio, pretenzioso, che si rifiuta di mettere a fuoco ciò che contiene, disperdendo l’intreccio tra mille didascalie. Difatti, però, questo Antonio e Cleopatra, dove lo scollamento tra l’io e il personaggio determina che Antonio e Cleopatra all’inizio siano interpretabili, rispettivamente, come l’attore di sesso opposto a quello del personaggio stesso e solo in un secondo momento due entità in cui la relazione attore-personaggio viene ricucita, per poi scollarsi di nuovo, in altre combinazioni, se da un lato si offre come un prodotto concettuale finissimo, complesso, per la successione di relazioni tra il sé-narrativo dell’attore e il personaggio, dall’altro, nel tentativo di essere anche ironico e provocatorio riproponendo all’infinito lo stesso meccanismo, si riduce, senza fare sconti alla sua durata, a una noiosa elucubrazione mentale.

(Renata Savo)

 

Immagine di copertina di Filipe Ferreira



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