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Teatro Akropolis, “Testimonianze ricerca azioni” dal festival allo schermo, e ritorno

Renata Savo

Lo scorso 18 dicembre a Roma sono state presentate nell’ambito del festival Teatri di Vetro le produzioni cinematografiche di Teatro Akropolis, tre tappe de La parte maledetta. Viaggio ai confini del teatro, ciclo di film-documentari dedicati ad altrettanti artisti e protagonisti del panorama culturale completamente diversi tra loro, sia per visione del mondo sia per strumenti adottati: l’autore e regista teatrale Massimiliano Civica, la coreografa e performer Paola Bianchi e il filosofo Carlo Sini.

Paola Bianchi, frame dal film “La parte maledetta. Viaggio ai confini del teatro. Paola Bianchi”

Clemente Tafuri e David Beronio – per le riprese di Luca Donatiello, Alessandro Romi e Daniele Zampelli – hanno curato la regia dei tre film, che traslano in misure diverse, su un livello totalmente inedito e diversamente fruibile, il contenuto dei volumi pubblicati da AkropolisLibri. I risultati sono davvero originali: nel primo caso, quello di Paola Bianchi che, scopriamo attraverso il documentario, aver firmato dalla fine degli anni Ottanta ad oggi più di cinquanta lavori, la ricchezza dell’archivio, sempre centrale anche dal punto di vista concettuale nel suo lavoro, ha fornito materiale audiovisivo e una regia cinematografica di stampo più tradizionale, in cui si alterna indissolubilmente autobiografia, percorso artistico ed estetica, consegnando allo spettatore un’opera densa, sia dal punto di vista contenutistico sia formale. Un’indagine profonda attorno all’autentico, all’essenza del movimento («essere e non fare», spiega Paola Bianchi), che parte molto prima della creazione stessa e che coinvolge all’interno anche chi si occupa della parte sonora: «Se io leggo dieci libri non obbligo di certo le persone che lavorano con me a leggerli, passo le sezioni che a me hanno più colpito, che secondo me sono centrate rispetto a quel lavoro, e gliele passo in toto, con i riferimenti, di modo che, se uno vuole, possa approfondire».

Più complesso il caso di Massimiliano Civica, il quale – si apprende attraverso la voce fuori campo affidata a Bobo Rondelli – dopo aver alimentato in giovanissima età il sogno di diventare uno scrittore per lasciare tracce del proprio passaggio, e aver coronato questo desiderio incontrando una maggiore affinità con la scrittura per la scena, ha deciso ben presto di sbarazzarsi di ogni scritto, fedele alla natura transitoria, hic et nunc, del linguaggio da lui stesso praticato. Ed è per questo che la presenza di Civica (tre volte Premio Ubu e la sua Antigone è stata tra le nomination degli Ubu 2020 appena assegnati) nel documentario dedicato alla sua stessa visione del teatro, una visione ludica e rituale al contempo, è piuttosto una assenza, colmata per contrasto dalle immagini della vita ferma nei corpi imbalsamati su cui si posa la video camera (le riprese effettuate all’interno del Museo Civico di Storia Naturale “Giacomo Doria” di Genova). Anche il pensiero di Carlo Sini, nel terzo documentario, e il lavoro del «laboratorio di filosofia e cultura» Mechrí, si rivela indirizzato verso la ricerca sulle stesse questioni, a un tempo filosofiche ed estetiche, lavorando sulla transdisciplinarietà per fare emergere le pratiche che sono comuni alle diverse discipline. Così spiega Carlo Sini: «il messaggio è azione, è il corpo in azione, il gesto, la parola vissuta e scambiata, tradotta in danza e in musica: queste radici sono le stesse radici della filosofia. Questa è un po’ la scommessa di Mechrí». L’interdisciplinarietà (o transdisciplinarietà, che più che la relazione, riguarda lo “sconfinamento” dei linguaggi) connette il mondo contemporaneo, sempre più ibrido e interconnesso, e la poetica di Teatro Akropolis, che con le sue attività, culminanti nel festival Testimonianze ricerca azioni (che per l’edizione 2020, andata totalmente online, è stato insignito del Premio Hystrio – digital stage), propone uno sguardo sui processi performativi in fieri.

Nei due giorni che abbiamo preso parte alla dodicesima edizione del festival (8 e 9 novembre) svoltosi a Genova dal 4 al 14 novembre scorsi, abbiamo assistito a lavori, come quello di Riccardo Guratti, Intuition 1, in cui a un immaginario lunare e spaziale fa da contro-canto la musica di Monteverdi, la quale segnò il passaggio, nella storia della musica, dall’epoca rinascimentale al barocco. Guratti crea una partitura ritmica in cui al corpo non canonico del danzatore, che è in qualche modo il corpo danzante del Nuovo Millennio, si abbinano movimenti degli arti con grande leggiadria e altri del bacino quasi legati a una ritualità orgiastica. Muovendosi nello spazio, il cui perimetro è indicato attraverso un geometrico e armonico disegno segnato da pezzi di carta argentata posizionati a terra, il corpo, lunatico e già scisso tra i due stili, scombina l’equilibrio rifondando un ordine nuovo, anticonformista.

Sempre sul sottofondo della musica barocca, ma quella di Händel, comincia la performance di Greta Francolini / Tir Danza, Annunciazione. «Lascia ch’io pianga» è l’aria che accompagna, all’interno di uno schermo televisivo, immagini delle fabbriche di würstel, diventate di uso comune al punto tale che la loro funzione sul palcoscenico non vuole affatto essere di denuncia animalista, ma soltanto, probabilmente, un segno come altri che pronuncia il sentimento di assuefazione e di indifferenza generale indotti da meccanismi di riproduzione e reiterazione (espedienti che ben conosceva e applicava Andy Warhol nelle sue serigrafie). Greta Francolini e Chiara Bollettino sono apparse poi sulle note di The House of The Rising Sun percorrendo lentamente e con movimenti omogenei – e quindi “omologati” – la scena, in abiti sportivi e svampite come due Grazie contemporanee; peccato che lo schermo in proscenio copriva la visione dei corpi e abbia reso più difficoltosa la fruizione, proprio per l’indugio dei corpi al centro della scena. Una scena che somiglia a una sala d’attesa, dove risuona dalla piccola cassa bluethooth un brano di musica rock, mentre una delle due performer smanetta sul display dello smartphone e l’altra canta. La performance insiste anche dopo su un piano ironico e surreale, con un finale che ricorda, con i corpi che sembrano liquefarsi alla ribalta come “scaduti”, un dettaglio de La persistenza della memoria di Salvador Dalí. Per restare sulla penisola iberica, ricordiamo infine la prima nazionale di Bubble della compagnia spagnola El lado oscuro de las Flores, spettacolo di danza di e con Ginés Belchí Gabarrón e Jesús Navarro Espinosa: attraverso il suo linguaggio mascolino, contaminato dall’hip hop, ma anche dalla tecnica della contact improvisation, che unisce i corpi in una lotta quasi animalesca, tra due forze complementari e opposte come lo Ying e lo Yang, lo spettacolo è riuscito ad allineare in un unanime apprezzamento la platea della Sala Mercato del Teatro dell’Archivolto, in cui sedevano molti giovani studenti del Liceo Artistico Statale Klee Barabino, coinvolti da Teatro Akropolis in un percorso di formazione PCTO guidato in quei giorni da Simone Pacini, fondatore del blog “fattiditeatro”.

 

[Immagine di copertina: Paola Bianchi]

 

 

 



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