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“Il peso della farfalla”: a Bari, il teatro come pratica della riflessione nel festival diffuso di Clarissa Veronico

Lucia Madonnini

Sta per concludersi a Bari, nella sua nuova veste di “Festival Diffuso”, la settima edizione de Il peso della farfalla, diretto da Clarissa Veronico. Stiamo parlando di un format di teatro e approfondimenti culturali sostenuta dal Ministero per i Beni e le attività Culturali, Regione Puglia, Comune di Bari e Radiomadonnellenberg. Questa edizione, inaugurata lo scorso aprile, ha narrato di soglie come spazi di congiunzione e attraversamenti, possibilità di andare oltre i limiti per ammettere la condizione del passaggio. Soglie, quindi, come capitoli di un racconto umano.

I prossimi appuntamenti  riguarderanno il terzo e ultimo capitolo del festival, intitolato proprio Sulle molteplici soglie della vita. Si prosegue mercoledì 13 ottobre presso la libreria Prinz Zaum (ore 19.00) con I mendicanti nobili di Hagop Baronian, che ci fa entrare nell’universo letterario dell’Armenia attraverso l’interpretazione degli attori del Teatro delle Bambole; in tre puntate su Radiomadonnellenberg, il primo dei tre appuntamenti andrà in onda anche dal vivo mentre i successivi due si potranno ascoltare nel corso delle prossime settimane. Saranno presenti, oltre a Clarissa Veronico, Andrea Cramarossa e Federico Gobbi, e Kegham J. Boloyan, professore di lingua e letteratura araba e di lingua e traduzione araba presso l’Università del Salento. E, per finire, il 27 ottobre Il peso della farfalla ospiterà Roberto Latini e il suo Venere e Adone che parte ancora una volta da Shakespeare per parlarci di amore (Santa Teresa dei Maschi, ore 21.00).

Abbiamo avuto l’occasione di poter dialogare con la direttrice artistica Clarissa Veronico, all’alba del nuovo decreto legge che riporterà la capienza nelle sale teatrali e cinematografiche al 100%, per farci raccontare le novità e i cambiamenti che la situazione di pandemia ha imposto al festival.

Clarissa Veronico

Sta per volgere al termine la settima edizione de Il peso della farfalla. Quali sono le principali differenze che ha notato in quest’ultimo anno rispetto ai precedenti? Di quale aspetto, delle edizioni precedenti la pandemia  ha fatto sentire di più la mancanza?

Il peso della farfalla ha subìto un cambiamento sostanziale, dovuto dalla precedente, ma ancora attuale, situazione pandemica. A differenza degli altri anni, il festival è stato suddiviso in capitoli, iniziati nello scorso dicembre, per poi articolarsi durante la primavera, l’estate e concludersi nell’autunno 2021. Questa condizione è stata imprescindibile, poiché non si poteva organizzare un programma di lunga durata senza la certezza di poterlo concludere. Di conseguenza, è stata modificata la programmazione della rassegna, trasformandola in una serie di capitoli basati su spettacoli e approfondimenti. Una parte degli eventi è stata affidata ad una web radio, Radiomadonnellenberg, rendendo alcune rappresentazioni dei radiodrammi; mentre negli spettacoli dal vivo, una parte del pubblico poteva accedere all’intera rappresentazione, invece l’altra avrebbe partecipato tramite delle cuffie wireless, ma vedendo gli attori da lontano. Per quanto riguarda quest’ultimo, il pubblico, non ho notato particolari cambiamenti. Certo vi è una maggiore pigrizia, probabilmente dovuta dall’abitudine, ormai insita nelle persone, di restare a casa. C’è una maggiore difficoltà a livello organizzativo e logistico, ma la relazione spettatore-attore è rimasta intatta. Sono riuscita, inoltre, a trovare la soluzione adatta per poter continuare il mio lavoro, senza indebolire il contatto con la mia comunità di spettatori.

Lei ha sottolineato che «Il teatro ha la capacità di leggere il presente e condividere le domande», partendo da questo presupposto vorrei chiederle quali sono, secondo Lei, i valori che l’arte teatrale è in grado di trasmettere al suo pubblico in questo momento storico.

Io penso che il compito del teatro non sia educativo, non deve trasmettere dei valori, il teatro lo fa da sé, senza porselo come obiettivo. Il teatro vive di valori, è costruito su di essi. Si parla di valori come la condivisione, la partecipazione, la libertà, perché lo spettatore deve potersi sentire libero di scegliere a quale spettacolo partecipare, deve avere la possibilità di immaginare, di intraprendere il proprio viaggio, esplorare sé stesso. Il teatro non insegna, bensì mette nella condizione di accedere a questi valori umani, di vivere nella piena consapevolezza della ricchezza dell’umanità. Il teatro condivide domande, non risposte, e ciò rispecchia una delle più grandi libertà umane, il potersi porre interrogativi. Chi smette di porsi domande, smette di vivere. In questo modo, si pratica il più importante esercizio di vita: la riflessione.

Consultando le sezioni del festival, ho notato che le rappresentazioni sono portavoce sia di problemi sociali attualissimi, quali la necessità di liberarsi dal patriarcato presente in “Sull’educazione sentimentale”, che di interrogativi più personali come il rapporto con i luoghi de “Paesaggi di passaggio”. La diversità dei temi è la conferma del voler realizzare un festival diffuso? Cosa spera che gli spettatori traggano dagli eventi in programma?

Per ragionare su un programma, solitamente seguo due passaggi: il primo è ascoltare me stessa, cercare di capire su cosa sto ragionando, il secondo è ascoltare, capire ed esaudire ciò che il pubblico riferisce, anche nelle chiacchierate informali prima o dopo gli spettacoli. Questa settima edizione de Il peso della farfalla è costruita su un filo conduttore che è il tema della soglia, declinata in diversi contesti. Per me è importante narrare le soglie come porte di ingresso, come punti di accesso ad altre dimensioni, andando contro la normale associazione erronea di confine, chiusura, di qualcosa che separa. Nei diversi capitoli, le soglie sono state declinate sotto tanti aspetti, come l’educazione sentimentale, che riguarda l’accesso ai sentimenti e ai corpi, arrivando poi ai paesaggi di passaggio, come proiezione del nostro rapporto con lo spazio esterno e naturale che ci circonda, mentre il terzo capitolo è dedicato alle molteplici soglie della vita, intese come piccole morti che ognuno vive. Gli spettatori non devono obbligatoriamente cogliere questo filo conduttore: ognuno può ragionare il proprio in base alla sua esperienza personale.

Trovandoci quasi alla conclusione del festival, crede che questa nuova formula sia stata più o meno di successo rispetto alle precedenti?

Questa formula ha riscosso particolare successo, probabilmente verrà adottata anche nelle prossime rappresentazioni. La programmazione di una rassegna, di un festival diffuso come Il peso della farfalla, deve tenere conto delle condizioni organizzative, economiche e culturali della città ospitante. In questo caso, gli spettacoli da me organizzati richiedono spazi raccolti, piccole dimensioni che permettono di costruire rapporti intimi e ravvicinati con il pubblico. Quindi il tema da affrontare non è capire se la formula sia di successo o meno, piuttosto se è praticabile in quel contesto. 

[Immagine di copertina: “Venere e Adone” con Roberto Latini. Foto di Antonio Ficai, Armunia]

 



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