Arti Performative FOG

Marino Formenti // Nowhere

Maria Ponticelli

Ci si aspetta di trovare un angolo del locale con un pianoforte al centro e delle sedute intorno e invece si tratta di una stanza isolata dal resto della Santeria Social Club, il locale di viale Toscana in Milano che ospita la performance artistica del pianista Marino Formenti. Una performance inserita nel calendario del festival Fog della Triennale e prevista per la due giorni di Milano Piano City, la Kermesse che dal 18 al 20 maggio trasforma la città in una grande sala da concerto dove protagonista indiscusso è il piano. A lato della trafficata strada di viale Toscana si incontrano le grandi vetrine della Santeria dalle quali si intravede il pianista che, sguardo basso sulla tastiera, accoglie i passanti con un’incessante esibizione di pezzi di cui è possibile trovarne traccia sui muri perimetrali della stanza.

Marino Formenti è un pianista di chiara fama internazionale, uno dei maggiori interpreti della musica contemporanea, salutato addirittura dal New York Times come il  “Glenn Gould del XXI secolo” e in occasione di Milano piano City ha deciso di aderire al progetto Nowhere accettando di abitare per tredici giorni una stanza in cui mangia, dorme e suona in presenza di persone che condividono con lui la location di un lungo concerto che, nella sua insolita predisposizione, trasla un evento pubblico su un piano intimo.

Il dialogo con gli ascoltatori di turno è fatto esclusivamente di note, è la musica che parla, nemmeno una parola superflua. C’è chi, saputo dell’iniziativa, raggiunge appositamente il luogo della installazione e chi, di passaggio, decide di entrare dopo essere rimasto per qualche secondo dinanzi alla vetrina cercando di capire di cosa si tratti. Tutti ad ogni modo vengono accolti da pouf e materassini dove nessuno ha difficoltà ad adagiarsi così come in casa propria. C’è una ragazza che si sdraia a leggere un libro mentre ascolta  le note del pianista, una coppia di fidanzati abbracciati in un angolo e dei bambini che cercano posto accanto alle gambe del nero e lungo pianoforte a coda. Dietro il piano un angolo cottura mentre davanti, poggiata sulla lunga vetrata, una scrivania su cui si trovano una tazza ed una sveglia. Gli oggetti della vita quotidiana in poco più di 40 metri consentono al musicista di vivere senza doversi allontanare dal pubblico, una temporanea rinuncia alla propria intimità per annullare il canonico spazio che tiene separati il performer dai suoi ascoltatori e per  lasciare che la musica trasferisca entrambi in una dimensione di contatto più libero e più profondo.

La porta di ingresso che qualcuno entrando lascia aperta fa entrare Milano nella stanza, così la musica si mescola ai rumori del traffico ribaltando per un attimo il concetto di piano city in cui non è più il pianoforte ad uscire sulle strade ma è la città che entra dentro, in una fusione simbiotica tra vita quotidiana e musica, un autentico non-luogo come recita l’enorme scritta che campeggia sulla vetrina della Santeria. Le ore diventano brani di musica contemporanea: il pianista ha cura di trascrivere sulle pareti della stanza ciascun pezzo con l’indicazione esatta dell’orario in cui viene eseguito, una scena che ricorderebbe Shine, un film del 1996 che racconta la storia del pianista David Helfgott e del suo vivere la musica ed il piano in maniera assoluta e totalizzante fino all’isolamento dalla realtà. Chiaramente non è questo il caso di Formenti e del progetto Nowhere il cui intento è invece quello di agganciare musicista ed ascoltatore in una condizione in cui i concetti di tempo e programmazione cedono il posto alla spontaneità della condivisione diretta soggetta alle variabili introdotte dalla quotidianità. Le pareti della stanza diventano quindi un grande taccuino in cui è possibile leggervi nomi di brani riconducibili ai Nirvana, a Brian Eno o John Cage ed è incantevole notare l’enfasi visibile sul volto del pianista che non accenna a sfumare mentre esegue brani che necessariamente si ripetono da giorni; la musica ha evidentemente qualcosa da dirci ed è capace di farlo in maniera tale che le emozioni che suscita non si perdano nell’etere ma vadano sempre a segno, senza lasciare scampo all’abitudine o alla sazietà.

Nowhere è un’esperienza ma non è la prima, essa ha dei precedenti in altre città e Marino Formenti non è quindi nuovo a questo progetto.  Già nel 2012 la città di Bologna aveva ospitato questa manifestazione e la riuscita è stata tale che anche il capoluogo lombardo, qualche anno dopo, l’abbia voluta in occasione di Piano City. Quasi due settimane di musica in loop per un progetto che contiene, in maniera malcelata, un’intima vocazione educativa: l’apparente non curanza del pianista e delle persone che stanno alla coda del piano implica la costruzione di un contesto di fiducia reciproca, una sorta di tacita intesa di fronte all’indiscussa bellezza della musica ed all’urgenza di essa in una città grande e “isolante” come quella di Milano. Il livello dei brani scelti inoltre – insieme al loro ciclico riproporsi – ha in qualche modo abituato le orecchie dei passanti (di quelli soprattutto che più volte hanno visitato Nowhere) a pezzi che non si ascoltano spesso o che comunque non sono certo tra quelli “pronti da gustare” tratti dalle hit lists del momento.

C’è chi magari per tredici giorni ha potuto contare sulla presenza di Marino Formenti, del suo piano e di uno spazio free entry così piccolo da potercisi perdere – anche solo per mezz’ora al giorno – tanto è il suo potenziale di azzeramento della realtà esterna. In questo senso Nowhere è esattamente un non luogo, un’isola che non c’è se non per un tempo stabilito, ma che vorremmo ci fosse più o meno in tutte le città, più o meno tutti i giorni.



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