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I pittori della luce al MART di Rovereto

Gabriella Bologna

Inaugurata pochi giorni fa al MART di Rovereto, la mostra “I pittori della luce. Dal Divisionismo al Futurismo”, visitabile fino al 9 ottobre, si preannuncia come l’evento dell’estate trentina.

Curata da Beatrice Avanzi, Daniela Ferrari e Fernando Mazzocca, presenta più di ottanta opere che raccontano, in un itinerario cronologico e tematico, uno snodo cruciale della pittura italiana tra fine Ottocento e primi Novecento, ovvero il passaggio dalla pittura divisionista al futurismo.

Considerando alcuni punti fermi come la Triennale di Milano del 1891, dove espongono Segantini, Emilio Longoni, Angelo Morbelli, Giuseppe Pellizza da Volpedo, la mostra è divisa in sezioni che attraversano l’ultimo decennio del secolo e arriva al periodo del cosiddetto Futurismo eroico che precede la prima guerra mondiale.

Realizzata in collaborazione la Fundación MAPFRE di Madrid, dove è stata allestita prima di raggiungere l’Italia, l’esposizione analizza i presupporti teorici del Divisionismo, come la scomposizione dei colori operata dal pointillisme francese post impressionista e le ascendenze simboliste e di matrice realista. Il percorso si sofferma anche su una delle figure più importanti tra quelle che hanno incoraggiato e sostenuto il movimento: Vittore Grubicy, pittore ma soprattutto teorico, critico e mercante d’arte, esperto conoscitore del panorama artistico europeo dell’epoca.

Il passaggio dal Divisionismo alla nuova estetica futurista è segnato dalle ricerche artistiche che figure di primo piano come Umberto Boccioni svolgono a contatto con l’ambiente romano (e Giacomo Balla in particolare) tra il 1907 e il 1910, anno in cui Boccioni, Balla, Carrà, Russolo e Severini firmeranno il Manifesto tecnico della pittura futurista. Così il Nudo di spalle controluce di Boccioni, un raffinato ritratto della madre del 1909, segna l’apice e al tempo stesso la fine dell’esperienza divisionista dell’artista.

Le ultime due sezioni sono dedicate al Futurismo dove muta non solo la pennellata ma anche i temi: la natura lascia il posto alla città, la macchina e altri simboli della modernità.

Nonostante l’assenza di capolavori e il tema già noto, la mostra merita una visita per la qualità di molte opere, dagli splendidi paesaggi di Segantini come Il ritorno dal bosco del 1890, a La mano del violinista di Balla del 1912.



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