Arti Performative Focus

Roberto Latini, Jarry, e l’elogio alla vita di un teatro che muore

Renata Savo

Nel suo Ubu Roi Roberto Latini canta la vita di un teatro che muore: il teatro che esalta l’irrazionale, della maschera e della finzione. Il teatro come luogo di alterità.

Lo fa attraverso un testo, quello di Alfred Jarry, che parla di ribellione e di una conquista mal compiuta. Non è rimasto alcun popolo da assoggettare. Il popolo è stato sterminato, e dall’altro lato c’è ancora un avversario che resiste, disposto a ristabilire un po’ di ordine in un mondo ormai devastato. Così è il teatro oggi: se pure non ci sono più i numeri e gli spettatori di un tempo,  r-esistono artisti ancora in grado di comunicare, puntando al ripristino di una candida bellezza. Come in questo Ubu Roi, che rivive nella teatralizzazione della morte («Oh! Sono morto!», grida il re Venceslao, allo scoppio di un palloncino da parte di Padre Ubu) e nell’esaltazione malinconica del presente.

A voler cercare paradossalmente un senso nell’Assurdo teatrale di Jarry, l’Ubu Roi che Latini ha portato sul palcoscenico del Teatro Vascello di Roma potrebbe rappresentare la battaglia per la memoria che il teatro, luogo dell’effimero, porta avanti da secoli. La scena, ristretta da pareti che riducono la superficie del palcoscenico a una forma trapezoidale, prende vita grazie agli attraversamenti di personaggi stravaganti e acrobatici, attori che si muovono alla maniera dei comici dell’arte, performer che imitano le movenze di certo teatro orientale; con un fazzoletto in mano, una melodrammatica Regina, la moglie di Venceslao, è incorniciata come fosse una tela, e cerca nella disperazione del personaggio un’autentica dimensione immortale («Sento che non mi restano più molte battute di vita»).

All’universo degli Ubu, figure che appaiono come strani umanoidi avvolti in un saio, custodi di un pianeta ancora sconosciuto (questo teatro?), Latini ha contrapposto un altro burattino come Padre Ubu, degno di imperitura memoria: Pinocchio. Sorta di alter ego irrazionale, rende così omaggio all’altrettanto immortale personaggio-attore del secondo Novecento, Carmelo Bene.

Il burattino di Collodi ha in sé la metamorfosi e la possibilità del cambiamento. La nostalgia del passato e l’eccitazione per il futuro. Se l’Ubu Roi è un classico, Pinocchio è «il» classico per eccellenza, con la sua sintesi di cultura alta e cultura popolare. Lo spettacolo di Latini, dal suo canto, possiede il fascino tipico dei dualismi: la luce e l’ombra, la festa e la malinconia, il maschile e il femminile, l’apollineo e il dionisiaco. Ma Pinocchio non è l’unica figura malinconica nell’Ubu Roi di Latini. Ancora più forte, avvertiamo la malinconia laforguiana degli “Amleto di meno”, tolti di scena dallo stesso Carmelo Bene molte volte in trent’anni di carriera, che qui rivivono nella celebre reiterazione del verso shakespeariano «Io sono lo spirito di tuo padre» pronunciato da Venceslao morto al figlio Bugrelao; un verso assente in Jarry, pure se in quest’ultimo non mancano altri rimandi a Shakespeare.

Sappiamo quanto sia forte il legame di Roberto Latini con Carmelo Bene, al punto tale che Latini potrebbe esserne considerato l’erede, se ancora oggi fosse lecito parlare di eredità in campo artistico senza venire accusati di “semplificazione”, vista la moda di sentirsi orfani, di ribellarsi ai padri e di rifiutare le eredità. Eredità o meno, Latini, come Carmelo Bene, incarna l’ideale dell’attore-artifex (l’espressione è stata affibbiata a Bene dallo studioso Armando Petrini) con un approccio quasi totalitario nei confronti della messa in scena. Il corpo performativo è corpo drammaturgico, fondante non solo in quanto presenza attorale, e quindi personaggio, ma anche come phonè, oggetto, icona. Entrambi i teatri, di Bene e Latini, sono accostabili a quello ottocentesco del grandattore. Anche quando Roberto Latini non è da solo in scena e non assume il ruolo di protagonista – come nel caso dell’Ubu Roi – in qualche modo la sua presenza assorbe un’attenzione preponderante su tutto il resto. E’ accentratrice.

E per restare nel tema di questo spettacolo, che vede la partecipazione di più attori, Latini ha dimostrato di essere maestro nell’amalgamare stili, linguaggi, codici, lasciando tuttavia limpide le sue intenzioni. E non si tratta di unire insieme tutti i punti di un’idea in modo perfetto. Non è nel singolo segno o nella razionale coesione che si legge un’opera come quella di Jarry. Il vero significato di questo Ubu Roi, proprio come il suo testo, si comprende solo tenendosi distanti.


Dettagli

  • Titolo originale: Ubu Roi
  • Regia: Roberto Latini
  • Anno di Uscita: 2016
  • Musiche: Gianluca Misiti
  • Costumi: Marion D'Amburgo
  • Cast: Roberto Latini // Francesco Pennacchia: Padre Ubu // Ciro Masella: Madre Ubu // Sebastian Barbalan: Regina Rosmunda & Zar Alessio // Marco Jackson Vergani: Capitano Bordure & Orso // Lorenzo Berti: Re Venceslao & Spettro & Nobili // Guido Feruglio: Principe Bugrelao // Fabiana Gabanini: Palotini & Orsa & Messaggero.
  • Altro: un progetto realizzato con la collaborazione Teatro Metastasio Stabile della Toscana


Altro

  • Testo: Alfred Jarry
  • Adattamento: Roberto Latini
  • Scene: Luca Baldini
  • Luci: Max Mugnai
  • Direzione Tecnica: Max Mugnai
  • Collaborazione Tecnica: Nino Del Principe
  • Assistente alla Regia: Tiziano Panici
  • Cura della Produzione: Federica Furlanis
  • Promozione e Comunicazione: Nicole Arbelli
  • Foto: Simone Cecchetti
  • Visto il: Venerdì, 05 Febbraio 2016
  • Visto al: Teatro Vascello, Roma

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