Arti Performative

Drodesera. Parte V

Renata Savo

Parte quinta del nostro report sul festival Drodesera. Parliamo di Roger Bernat, Philippe Quesne, Motus, Fanny & Alexander


 

La quinta serata a Dro è stata tra le più intense ed emozionanti, di quelle che alla fine ti hanno fatto sentire di essere dove effettivamente volevi, per cui hai potuto dire «Ecco, questa è la Centrale Fies, questo è il festival Drodesera».

Abbiamo visto e partecipato attivamente alla prima nazionale di Numax-Fagor-Plus di Roger Bernat, noto per le sue drammaturgie che tramite l’intervento dello spettatore intessono realtà e finzione: qui, gli spettatori riuniti lungo i quattro lati della Sala Comando della Centrale Fies sono ignari del fatto che saranno chiamati a interpretare spontaneamente il ruolo di operai di due fabbriche di elettrodomestici dislocate nello spazio e nel tempo, la Numax e la Fagor; insieme si ripercorrono i dibattiti delle due assemblee seguite al periodo di occupazione e licenziamenti, situazioni analoghe connesse grazie alla citazione di un documentario che riprende la prima delle due – risalente al 1979 – poi mostrato agli operai della Fagor (nel 2013). Gli spettatori, per mezzo di di schermi ai poli opposti della sala, su cui sono impresse le battute realmente pronunciate dagli operai durante il dibattito, si trovano avvitati in una drammaturgia che sovrappone nell’ultima parte i livelli temporali in modo sempre più serrato. Merito anche delle didascalie che istruiscono al momento lo spettatore partecipante sui movimenti da eseguire (con effetti palesemente ironici), la regia sfrutta bene tutte le potenzialità legate al gioco di immedesimazione partecipativa così come alla sovrapposizione fra le due situazioni e il documentario, ma spoglia però di qualsiasi serietà i contenuti, che invece meriterebbero una maggiore assimilazione dato che appartengono a questioni drammaticamente reali e attuali; sono piuttosto parole ready made quelle portate sulle nostre bocche e che leggiamo in forma frammentaria senza aver modo di carpirne veramente il senso, attenti solo a realizzare nella maniera più naturalistica possibile la nostra performance.

La connessione con il reale è sottolineata anche nello spettacolo di Philippe Quesne, Next Day, che porta in scena un gruppo di bambini di età compresa tra gli 8 e gli 11 anni e di nazionalità differenti. Sin dai primi minuti dello spettacolo l’impianto drammaturgico è costruito sul dialogo tra rappresentazione e tempo reale; uno alla volta, i piccoli performer discendono una piccola montagna di cuscini e si presentano al pubblico: dicono qualcosa di se stessi, cosa suonano (in riferimento allo spettacolo) e citano il momento preferito della performance, preparando le nostre attese all’imprevedibile. Tutto lo spettacolo, con tempi volutamente dilatati in alcuni punti, gioca sulla realizzazione di queste attese e l’abbattimento della quarta parete. I contenuti, un po’ ripetitivi (anche il titolo, in effetti, non è altro che un’altra grande, costruita attesa): la descrizione delle ambizioni – sovrapponendo propositi verosimili a dettagli assurdi – il momento musicale, le passioni attuali, la bambina o il bambino che si comportano da grandi. Nel complesso, un buon lavoro, anche se non il massimo dal punto di vista dell’originalità e della godibilità, a causa dei lenti tempi drammaturgici, che però, bisogna dire, appartengono alla particolare cifra stilistica del regista.

Ancora realtà, quella della persona di Silvia Calderoni, nell’ultima produzione firmata Motus presentata al festival di Santarcangelo dei Teatri, MDLSX, uno spettacolo che dal punto di vista estetico non osa quanto altri degli stessi Enrico Casagrande e Daniela Nicolò: l’impianto drammaturgico è molto semplice, scandito dalla riproduzione di una vera e propria soundtrack list di cui lo spettatore tiene traccia attraverso la proiezione sul telo in PVC sullo sfondo. Tuttavia, proprio la sostanziale asciuttezza nello stile determina una profonda empatia con la presenza scenica di Silvia, che in un’intima confessione allo “specchio” (o per meglio dire, alla webcam) racconta la sua infanzia, l’adolescenza e le tensioni emotive vissute durante il periodo in cui il suo corpo puerile non voleva saperne di diventare donna. Oltre Silvia, però, della quale vediamo video originali di lei da bambina e adolescente, seguendo passo passo l’evoluzione del rapporto con il suo corpo fino alla scelta di esporre senza pregiudizi la sua androginia, c’è il parallelismo con la storia di Cal diventato Calliope dopo aver scoperto in età puberale l’ipostadia che gli avrebbe trasmesso i tratti dell’ermafrodito, protagonista del libro Middlesex di Jeffrey Eugenides (coincidenza vuole che proprio Calliope, nella mitologia greca la “musa dalla bella voce”, sia in un certo senso la stessa Silvia dalla voce pienamente femminile quasi scorporata da sé, caratteristica che rende davvero unica la sua bellezza). Lo spettacolo dei Motus, attraverso la storia di Cal, muta quindi in riflessione politica sull’affermazione della propria sessualità e sulla libertà di assumere o meno una precisa identità di genere.

Infine, Scrooge dei Fanny & Alexander, performance di Chiara Lagani e Marco Cavalcoli con il suono di Emanuele Wiltsch Barberio. Al centro, in alto, un cerchio: una sorta di gigantesca luna piena dentro cui si vedono proiettare in un libero e serrato montaggio scene del noto film d’animazione della Disney ispirato a Canto di Natale di Charles Dickens. L’estetica della performance attinge al vaudeville, al musical e alla televisione, ma la sensazione è di non essere assolutamente nulla di tutto questo: tra una partitura di rumori eseguiti sul posto sopra una pedana circolare da Marco Cavalcoli in smoking, bastone e cappello a cilindro – campionati, amplificati e reiterati elettronicamente – il “controcanto” di Chiara Lagani, e il doppiaggio live delle scene del film, lo spettacolo mostra il linguaggio peculiare, che potremmo dire pienamente maturo, della compagnia. Se il lavoro senza dubbio è ben sviluppato dal punto di vista formale, lo è meno, forse in modo programmatico, dal punto di vista dei temi: inserendosi nel flusso dei “Discorsi” presentati negli ultimi anni, la performance scandaglia i rapporti tra economia e arte e tra economia ed etica, ma lo fa senza particolari pretese, lasciando lo spettatore sull’uscio più in compagnia di domande che di risposte.



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