Arti Performative Focus

Attraversamenti Multipli: da ventuno anni, il fascino del preesistente

Renata Savo

Per i vent’anni di Attraversamenti Multipli, il festival multidisciplinare di Margine Operativo, i direttori artistici Pako Graziani e Alessandra Ferraro hanno dato alle stampe ATTRAVERSAMENTI MULTIPLI 2001-2020 – un viaggio tra gli orizzonti mobili delle arti performative contemporanee, un libro (Editoria & Spettacolo, 2021) che condensa venti anni di vita di uno dei festival di arti performative più amati della capitale, nato quando realizzare performance negli spazi urbani era ancora considerata una proposta avanguardista.

“Avanguardista”, infatti, è sempre stato lo sguardo di Margine Operativo, che ha intercettato spiragli, brecce nell’ordinario in cui fare irruzione con la bellezza. Spesso si è trattato di interventi anche piccoli, come la voce acusmatica di un attore nella metropolitana di notte, presso una stazione appositamente rimasta aperta come nel 2005, uno degli anni in cui il calendario di Attraversamenti Multipli si prese anche la Notte Bianca e il servizio della metropolitana restò attivo al pubblico tutta la notte.

Il libro viene definito dai curatori «un diario di viaggio» nel percorso di Attraversamenti Multipli, ma ha piuttosto l’immediatezza e la freschezza della cronaca, il racconto di vicende e immagini che si sono appena concretizzate. Contiene, legati da svariati fili rossi tematici: foto, immagini, estratti di comunicati stampa, scritti originali, interviste, articoli, recensioni di critici che hanno seguito con passione e curiosità la manifestazione mentre muoveva un passo dietro l’altro nei suoi primi venti anni. Proprio per questo, pubblicato per festeggiare due decenni di festival (che viene considerato una sorta di Manifesto poetico in azione della compagnia Margine Operativo), il volume non va letto né interpretato come un monumento alla memoria di eventi artistici. Non c’è il filtro della rievocazione, della distanza cronologica che si frappone tra i pensieri e la scrittura, sebbene sia evidente attraverso la selezione critica curatoriale dei materiali la necessità di una sua “storicizzazione”, di una sua collocazione all’interno dell’ampio panorama artistico contemporaneo. C’è, piuttosto, la descrizione istantanea delle impressioni, nei cui resoconti si intersecano i punti di vista di chi vi ha assistito e le parole dei direttori artistici, in una narrazione che è al tempo stesso unitaria e molteplice. Si approfondiscono, infatti, in modo eterogeneo, l’offerta variegata di spettacoli e performance, i legami instaurati con gli artisti, le relazioni con i luoghi e i loro pubblici diversissimi. Tra Attraversamenti Multipli e alcuni spazi si è andato in tutti questi anni instaurando un rapporto di continuità dovuto al ripristino della sua presenza in determinati quartieri di Roma come il Pigneto o il Quadraro, che anche grazie all’azione del festival hanno potuto beneficiare di una maggiore riqualificazione, ancora oggi evidente. Ma è pur vero che per la sua natura itinerante, periferica, che lavora sul crinale dei linguaggi e dei formati, merita di essere raccontato in modo trasversale e differente dalle esperienze culturali continuative e di stampo più tradizionale. Da qui la forma particolare che ha assunto il libro, la sua freschezza.

Yoris Petrillo in “Animali” di Margine Operativo. Foto di Carolina Farina

Nella sua ventunesima edizione, il festival non ha smarrito la sua identità. Il 23 e il 24 settembre si sono susseguiti spettacoli di breve durata, estremamente performativi e intensi. Animali è una performance site-specific di Margine Operativo, e dura venti minuti: ruota attorno al corpo danzante e carico di energia di Yoris Petrillo, che corre, salta, danza, disegnando traiettorie con i piedi che strisciano a terra sonoramente, nel perimetro scenico del Garage Zero, uno dei luoghi adottivi del festival in queste edizioni che si sono svolte nel quartiere Quadraro. Petrillo, bagnato trasversalmente da un fascio di luce mentre sorseggia una Pepsi cola, è lì, apparentemente finito per caso e seduto a una sedia, pronto a sganciarsi per lanciare un messaggio sociale, per descrivere, corpo e parole, da una prospettiva aliena, cosa sono e non sono gli esseri umani per un animale, e la relazione che li connette.

“Tagadà”. Foto di Carolina Farina

Molte le performance in sneakers, come Tagadà, produzione Chiasma di Fabritia D’Intino e Daria Greco: nel piazzale di Largo Spartaco, quartier generale del festival, le due giovani appaiono accomunate nel costume da ampi impermeabili color argento e zainetto in spalla, simili a esploratrici spaziali destinate ad allontanarsi reciprocamente; e così è pure Sara Sguotti – nome che avevamo già incontrato quest’anno alla guida del gruppo di Dance Well per B.Motion Danza, a Bassano Del Grappa – una “Tersicore in scarpe da tennis” (per citare il titolo tradotto in italiano di uno dei più illuminanti libri sulla postmodern dance, della studiosa Sally Banes), e in Space Oddity_ Live – dedica lontana mescola danza classica accademica, modern jazz, ritmica, danza del ventre, incatenando gli occhi con il suo vorticoso eclettismo, accompagnato dalla musica dal vivo incalzante di Steve Pepe.

“Space Oddity_ Live – dedica lontana” di Sara Sguotti. Foto di Carolina Farina

Uno spettacolo nello spettacolo è stata poi la gamma delle reazioni del pubblico, soprattutto i bambini, alla performance Clown della Compagnia Giovanna Velardi, raffinato e divertente ritratto dell’universo clownesco, fatto di risate e malinconia, di isteria e introspezione. Giovanna Velardi, anche ideatrice e coreografa, e Giuseppe Muscarello sono i protagonisti di una storia di amore e odio tra due clown dalla verve siciliana, le cui azioni spasmodiche, ballerine e giocose, contagiano di allegria lo spazio circostante, usando la materia viva dell’interazione con il reale e il pubblico che lo incarna.

“Clown”, Compagnia Giovanna Velardi. Foto di Carolina Farina

Raccontare Attraversamenti Multipli non significa elencare una serie di esperienze artistiche su cui lo sguardo si è depositato per dare un giudizio o un’interpretazione – anche perché spesso parliamo di opere che più difficilmente troverebbero spazio tra i circuiti tradizionali della scena teatrale, proprio per la particolarità dei loro formati, per la durata contratta o dilatata, per l’approccio site-specific, per l’intersezione tra i linguaggi – ma significa restituire il senso profondo delle relazioni che ciascuna opera riattiva: tra uno spazio e il suo pubblico, tra l’artista e lo spazio, tra gli spettatori fra di loro. La storia di Attraversamenti Multipli è una storia molteplice, fatta di imprevisti, di snodi. Ha toccato anche altre città, come Napoli e Genova, le metropolitane e altri luoghi di passaggio. Di sicuro “dopo” si interrogherà sul prosieguo, su una sua evoluzione; necessaria se si vuole continuare a incontrare le persone, in strada o altrove. Se si vuole stare al passo, inseguire l’onda del cambiamento sociale, che può anche trasformarsi in uno tsunami, come abbiamo tristemente appreso con la pandemia. Dopo ventuno edizioni, lontana dal consumarsi, la storia di Attraversamenti Multipli continuerà il suo cammino, forse in altri luoghi e forme nuove che verranno. Continuerà, come ha sempre fatto, ad accendere la fantasia, la curiosità e l’immaginario di moltissime persone, spettatori volontari e involontari dell’imprevedibile fascino dei linguaggi performativi contemporanei.



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