Arti Performative

Rosabella Teatro // Accidentes gloriosos

Renata Savo

Al Teatro India la stagione 2016-17 del Teatro di Roma ha aperto i battenti con un progetto performativo diretto da Giulio Stasi: un’esperienza tutta da vivere – e difficile a raccontarsi.


 

Una delle maggiori difficoltà del critico, quando si tratta di raccontare uno spettacolo, un film o un romanzo, consiste nel riuscire a trasmettere l’essenza dell’opera senza dover rivelare al lettore quei dettagli che potrebbero sottrarlo al gusto della scoperta.

Come si può narrare un evento, o una successione di eventi, che nasce testualmente come accidente (da leggere con pronuncia spagnola), fatto, cioè, riconducibile alla contingenza, all’effetto sorpresa, e a tutto ciò che è inatteso?

Di recente al Teatro India sono andati in scena gli Accidentes gloriosos di Rosabella Teatro, compagnia diretta da Giulio Stasi: eptalogia finalista e menzionata al Premio Tuttoteatro.com alle arti sceniche Dante Cappelletti 2012, e dalla cui sceneggiatura gli stessi autori, Mauro Andrizzi e Marcus Lindeen, hanno tratto un film che è stato poi insignito del Premio Orizzonti al Festival del Cinema di Venezia 2011.

Se non è concesso svelare alcuni particolari delle performance, non possiamo che restituirne una visione filtrata dallo sforzo di evitare una descrizione minuziosa, funzionale all’analisi del lavoro.

E allora, procediamo al contrario. Avanziamo subito un giudizio, netto: aver partecipato agli Accidentes gloriosos è stata una bella fortuna, e questo lo si dice al di là delle modalità di fruizione che prevedono un numero limitato di spettatori (suddivisi, comunque, tra le diverse repliche che hanno avuto luogo nel corso della stessa serata). È stata una fortuna perché l’operazione di Stasi mette lo spettatore di fronte alla necessità di subire l’imprevisto e il reale, di esserne inghiottito e assoggettato, travolto e felice.

Ma veniamo, ora, al nostro complicato e parziale esercizio narrativo.

Il formato dello spettacolo, a numeri, prevede un ordine di esecuzione variabile, perché ognuno degli accidentes è concepito, in fondo, come una performance a sé stante, sebbene alcuni di essi appaiano per temi e modalità di fruizione in qualche modo connessi: per esempio, Glory Holes e Torre animal comprendono ambedue forme di comunicazione amorosa, presente o passata, diretta o scritta. Glory Holes è una performance per un solo spettatore che avviene in un tubo, dentro al quale la voce di un’attrice si condensa penetrando i sensi dello spettatore, facendosi ancora più vicina. Si tratta di una confessione intima rivolta a uno sconosciuto: un inno all’amore, un canto universale di gioia e dolore che spinge a una reazione emotiva e fisica, trattenuta solo dalla resistenza individuale ad abbandonarsi completamente nel rispetto di una convenzione (la separazione tra attore e spettatore) che qui, difatti, viene abolita. Torre animal, invece, si svolge in un cortile: una voce acusmatica racconta di un viaggio fatto da due ragazzi su una strada statale di provincia diventato occasione di un ritrovamento incredibile. Tracce di una lunga storia d’amore immaginaria sparse nel luogo mentale della narrazione si riscoprono reali e toccanti, tra le mani dello spettatore.

Accostabili fra loro sono anche Accidente de coche Fotografo de accidente. Il primo di questi due ha una durata di pochi minuti, ma è un concentrato di mistero e inquietudine costruito su un’aspettativa: invitati a entrare in un auto e ad allacciare le cinture di sicurezza, ci si ritrova a interpretare il ruolo di vittime e testimoni di un incidente avvenuto nel passato, e riattualizzato da un personaggio situato in un altrove fisico e dalla voce interna all’abitacolo. Nel secondo, Fotografo de accidente, i partecipanti si trovano ad affrontare un evento inatteso, motivato soltanto alla fine del percorso, nel finale che diventa riflessione sull’arte e sulle ossessioni di un artista.

Sempre grazie alla possibilità di spostamento offerta dal minibus, accompagnati da Stasi, è partito il gruppo di spettatori all’avventura, nell’accidente 29 marzo 1912, quando la luce del giorno ha già da diverse ore ceduto il posto alla notte rischiarata dai bagliori di un cielo limpido e ancora estivo. La data suggerita dal titolo fa riferimento all’ultima pagina del diario di Robert Scott, un esploratore britannico che divenne famoso per la “competizione” con Roald Amundsen sul raggiungimento del Polo Sud; Amundsen raggiunse il Polo poche settimane prima di Scott che, nella marcia di rientro al campo base, perse la vita insieme ai membri della sua spedizione. Non si può contenere del tutto, con parole, la sorpresa immensa dello spettatore (qualsiasi cosa possa ancora significare una tale definizione, “spettatore”, in un contesto simile). L’esperienza della “conquista del Polo Sud” diretta da Stasi è una visione di lucida follia: un incubo beckettiano, un rito, un gioco sostenuto da regole comportamentali, simile al viaggio del cantore Orfeo di ritorno dall’oltretomba insieme alla sua Euridice. In una parola: indimenticabile.

Poi c’è Un agujero en la calle, concepito come una sorta di voragine nello spazio urbano: un rimodulatore di particolari somatici, dettagli fisici, frammenti di object trouvé. Un contenitore di realtà, di sogni, di illusioni, di sdoppiamenti. Di ombre e di vita. Di sensi altri e di orizzonti aperti, dentro e fuori di noi.

Fosse sempre così vivo il paesaggio del Teatro India, come questo inizio di stagione del Teatro di Roma, che proprio con gli Accidentes gloriosos ha aperto i battenti. Per la capitale, forse, una tale apertura di stagione, incarnata dalla stessa metafora dell’accidente, rappresenta un piccolo e coraggioso segnale del desiderio di cambiamento, di rendersi una città più amabile e materna, docile davanti all’imprevisto: una città a misura di essere umano, e a forma di teatro.

 


Dettagli

  • Titolo originale: Accidentes gloriosos

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