Arti Performative

Drodesera Live Works. Parte III

Renata Savo

Report della terza e ultima serata di Live Works, il format del festival Drodesera dedicato alle contaminazioni tra performance, arti visive e e tempo reale.


Live Works è il format che ha visto durante un breve periodo di residenza, dal 1 al 10 luglio, il coinvolgimento degli artisti selezionati nella produzione di performance, per un premio di 1000 euro. L’ultimo giorno, quindi, abbiamo assistito al lavoro di Vanja Smiljanic, vincitrice con The Anthem of the New Earth/Remastered, surreale performance-lecture di una donna composta e dal look vintage che ci presenta un mondo in cui regna l’assurdo; dove una congrega di persone inscena rituali bambineschi agli alieni, dove attraverso antenne paraboliche sarà possibile comunicare con angeli che salveranno la terra dai disastri ecologici: tutto in una corposa e organica finta presentazione di un mondo perfettamente concepito, ricco di senso persino nella sua assurdità. Tra i diversi spettacoli in concorso non fa meraviglia che la giuria presieduta da Michelangelo Pistoletto abbia decretato vincitore proprio questo lavoro che appare il più compiuto ed equilibrato sia dal punto di vista formale sia narrativo.

Durante la stessa serata abbiamo apprezzato la performance “senza spettacolo” firmata da Roberto Fassone, protagonista in absentia di Untitled, in cui sono spiegate a livello legislativo, da una professionista, le ragioni secondo le quali lo spettacolo in questione avrebbe meritato di vincere il concorso, stimolando un breve dibattito conclusivo con gli spettatori sulla validità di una difesa preventiva del proprio assistito, ovvero, Fassone. Un’idea fortemente cerebrale, ma originale nelle sue intenzioni, che sottolinea l’irripetibilità dell’evento scenico e una forte relazione con il tempo reale.

Fuori concorso, la performance di Alessandro Sciarroni nella sua versione “live works” (Turning_live works version), esplorazione concettuale inerente le possibilità formali della rotazione del corpo umano su se stesso, un moto che non segue norme accademiche sulla tenuta con lo sguardo di punti di riferimento nello spazio, ma l’equilibrio appare, piuttosto, essere ricercato interiormente.

In appendice all’intero festival Drodesera non dimentichiamo le installazioni, e tra quelle davvero difficili da dimenticare, L’abbeveratoio di Santiago Sierra, ispirato a un terribile “equivoco”: l’utilizzo improprio del simbolo orientale della svastica per mano dei nazisti. La svastica, nell’originale simbologia orientale, infatti, ha un significato propiziatorio e rappresenta con i suoi bracci piegati i raggi del sole, legandosi quindi al ciclo della vita. Lo spazio costruito da Santiago Sierra è un recinto dentro il quale, su una scacchiera bianca e nera come il pavimento di un tempio indiano dove i ratti sono venerati, dei topi si muovono liberamente nutrendosi di latte a un “abbeveratoio” centrale, dove figura una svastica.

Indimenticabile per motivi che potremmo dire opposti, Les Thermes a cura di France Distraction, che hanno ricostruito all’interno di una struttura in legno un ambiente confortevole e rilassante: palline nere di plastica riempiono una vasca in cui l’osservatore può immergersi e con cui può interagire; sulle palline, massime ispirate alla filosofia stoica. Un vero e proprio bagno di moralità e di spensieratezza.

 

 

 



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