Arti Performative Dialoghi

La Calabria, il teatro, la critica. Intervista a Emilio Nigro

Renata Savo

Sulla scia delle dichiarazioni rilasciate da Dario De Luca nella nostra intervista, circa il riconoscimento su scala nazionale del teatro made in Calabria nell’ultimo decennio – anche, ma non solo – attraverso la voce di festival come Primavera dei Teatri e compagnie come Scena Verticale (a tal proposito, noi ci sentiamo di segnalare anche la Compagnia Ragli diretta da Rosario Mastrota, che il 18 novembre sarà in scena a Vimodrone con La Bastarda, uno spettacolo da noi recentemente visto in forma di studio e di cui vi parleremo in altra sede), si fa spazio la curiosità di ascoltare un altro punto di vista interno al territorio: il critico teatrale Emilio Nigro, classe 1981. Emilio è anche drammaturgo e poeta, e il suo testo Avemmaria – con Fabrizio Pugliese e la regia di Fabrizio Saccomanno – sarà in scena il 3 e il 4 dicembre al Nuovo Teatro Sanità di Napoli.

 

Innanzitutto, da quanto tempi ti occupi di teatro, e quando hai iniziato a scriverne, sia come autore sia come critico?

Mi innamorai del teatro non ancora compiuti i dieci anni dopo uno spettacolo di Max Mazzotta, scritto da un mio zio autore. Le prime esperienze furono in un centro d’aggregazione culturale del mio paese d’origine con i compagni di allora, rifacemmo Sogno di una notte di mezza estate. Poi cominciai a diciotto anni a scrivere per i giornali (locali) e qualche anno dopo, per il teatro, alternando la scrittura alla pratica, con una compagnia cosentina “La Barraca” e altre esperienze di palco e dietro le quinte. A trent’anni vinco il Premio Garrone. Nel 2009 il mio primo spettacolo come autore (e interprete) andato in scena al Teatro dell’Acquario, dal titolo Teatranti.

In un’intervista da noi recentemente pubblicata, Dario De Luca di Scena Verticale ci ha descritto lo stato di salute attuale del teatro che nasce e si sviluppa in Calabria, affermando di trovarci oggi in un periodo di forte crescita. Dario ha affermato che la spinta nazionale del teatro made in Calabria sarebbe iniziata circa dieci-quindici anni fa e che di questo passo, tra cinque o sei anni, potremmo trovarci di fonte a un panorama ancora più importante e ampio. Qual è la tua posizione in merito? Sei d’accordo?

Le affermazioni di Dario De Luca, al quale mi lega un rapporto di conoscenza professionale e confidenziale decennale, meritano una replica, per il non tenere conto, probabilmente per noncuranza o dimenticanza, del lavoro svolto in loco, in Calabria, da operatori e artisti che da decenni (gli artisti anche da un quarto di secolo) sono affacciati sul panorama nazionale. E che il confronto, la diffusione, la possibilità di conoscenza si è effettivamente creata grazie a queste azioni, frutto della volontà di fare conoscere un territorio ricco e pullulante in cui non è solo presente Scena Verticale, alla ribalta da vent’anni e pare dalle parole del De Luca l’unica realtà presente in terra nostra. Riguardo i critici calabresi, chi scrive per testate quali Hystrio, Rumorscena.com, Il Pickwick, PaneAcqua Culture, e in passato Il Tamburo di Kattrin, Krapp’s Last Post, Corriere Spettacolo, non è da considerarsi nazionale? Perché? E probabilmente a Dario, sfuggono altre realtà che nel corso degli anni hanno calcato le scene nazionali e hanno portato il confronto a Cosenza e in tutta la regione, tra cui Il Teatro dell’Acquario, ma anche Nino Racco, Manolo Muoio, La Ginestra, La LineaSottile, Il Centro Rat, Libero Teatro, Manachuma Teatro, Scenari Visibili, Dracma, Anna Maria De Luca, Fabio Vincenzi e tanti altri artisti e operatori che ora mi scuseranno se non li cito senza altra ragione che quella di non farla lunga. Di teatro contemporaneo in Calabria e del teatro contemporaneo della Calabria, meglio inquadrabile come Terzo Teatro, se ne parlava già trent’anni fa. Il Living Theatre, oltre alle avanguardie teatrali di quegli anni, venne in Calabria grazie al Centro Rat. Grazie al Libero Teatro, per esempio, invece, il Piccolo di Milano venne in Calabria, dieci-quindici anni fa e creò situazioni di scambio artistico e anche professionale. Per cui, affermare senza avere memoria, non è molto delicato. Noi operatori nazionali, votiamo per alcuni tra i premi più gettonati: Premio Hystrio, Premio della Critica e Rete Critica, e in più occasioni si è portata l’attenzione di realtà calabresi. Qualche anno fa il Festival delle Residenze calabresi, altro esempio, organizzato a Squillace da Giovanni Carpanzano, portò in Calabria critici e operatori, a visionare micro-esistenze e associazioni in pieno sviluppo, embrionali. Che poi gli spettacoli calabresi non circuitino fuori regione è un altro fatto, tranne quelli di Scena Verticale ovviamente, l’unica probabilmente ad avere struttura capace di farlo o essersi nel corso degli anni intessuta quella rete di relazioni, grazie anche al meraviglioso Primavera dei Teatri, che rende possibile il mercato italiano. Il confronto adesso manca, sì, come dice il buon Dario, per tutta una serie di ragioni legate ad economie ma anche circostanziali e soggettive, però il dichiarare che è grazie a Scena Verticale che il territorio si sta facendo conoscere è indicare gli altri artisti come destinatari di assistenza, e non credo, personalmente, ne abbiano bisogno e per caratura artistica e per caratteristiche umane ed individuali. E dimenticarsi degli operatori nazionali sul e del territorio.

E dove sono i critici che scrivono dalla Calabria? Come mai non se ne conoscono altri? Esistono riviste o blog di teatro che hanno una propria riconoscibilità in Calabria? Se penso alla Campania o alla Sicilia, o a qualunque altra Regione in cui ci sia un ateneo con un buon DAMS, mi vengono in mente dei nomi…

Non so rispondere a questa domanda in modo preciso. Oltre a me, su Hystrio scrive anche Paola Abenavoli, nel reggino. Altri colleghi scrivono per giornali locali, non so quanto possano essere definiti critici e con questo non voglio designare meriti esclusivi o autoreferenziali. Credo, come con gli artisti, ci sia bisogno che qualcuno ti riconosca tale, altrimenti è autodefinirsi. E per essere riconosciuti sono necessarie competenze e formazioni acquisite, a bottega o in modo accademico. La cosa spiacevole è quando non si è riconosciuti nonostante l’evidenza e la documentazione. E questo capita nella mia terra, tra artisti e colleghi di altro genere. Non sta a me analizzarne le ragioni. Sull’argomento, ho delle idee, ma di carattere personale. Sul DAMS ti do ragione, effettivamente non ha prodotto critici o studiosi, ma bisognerebbe girare la domanda agli interessati.

A questo punto, mi pare doveroso chiederti: qual è o quale dovrebbe essere secondo te la funzione della critica?

Sulla funzione della critica ci sarebbe da discutere in modo infinito… A mio avviso i critici dovrebbero svolgere il proprio mestiere ovvero essere trait-d’union tra platea a pubblico. E per questo, naturalmente si devono possedere i mezzi intellettuali e culturali per farlo. Per dirla alla Lehmann, bisognerebbe proseguire quella comprensione collettiva scaturita dal fatto teatrale. Unico e irripetibile.



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