Arti Performative

Amaranta Teatro/Orma Fluens // Augenblick – L’istante del possibile

Renata Savo

Al Teatro Studio Uno, la performance immersiva a cura di Amaranta Teatro e Orma Fluens: un evento molto atteso, e un esperimento. I risultati, però, non sono troppo convincenti.


 

In questi giorni, e fino al 22 febbraio, gli spazi del Teatro Studio Uno nel quartiere di Torpignattara sono praticamente irriconoscibili: predisposti interamente ad accogliere la performance immersiva Augenblick – L’istante del possibile a cura di Amaranta Teatro e Orma Fluens, ispirata all’opera incompiuta di René Daumal Il Monte Analogo; un evento molto atteso della stagione 2014-15.

Partiamo dalla nostra vestizione nel ruolo di fantasmatici voyeur accolti da maschere nere; siamo invitati a riporre i nostri cappotti e borse, a indossare maschere neutre e a perderci tra gli spazi allestiti per la performance, sia al chiuso sia all’aperto, dove ogni metro quadrato è stato occupato da mobilio antico, specchi, per una scena che rappresenta un’abitazione alto borghese di inizio Novecento. In una delle varie zone, una sorta di laboratorio scientifico privato con cartografie, ampolle, libri, carte dei tarocchi: ogni pezzo è stato minuziosamente ordinato e, in alcuni punti, addirittura la disposizione accurata degli oggetti impegna ogni centimetro di superficie. Pannelli in tela sottile, inoltre, svolgono il duplice ruolo di separé tra i diversi micro ambienti e creano dei ben studiati effetti di opacità, che amplificano, insieme a un suono composto da una pluralità di voci sfuggenti in lingua italiana e tedesca, l’aura spettrale e misteriosa che ci avvolge. E fin qui è tutto molto apprezzabile, perché l’immersione è davvero totale in questa sorta di spazio naturalistico dove l’ambiente determina i caratteri, ma contrariamente al fortunato dispositivo à la Antoine, non siamo distanti spettatori ma attori anche noi dentro lo spazio scenico, seppure senza un ruolo definito: spinti a curiosare tra questo mare di indizi sospesi, ci lasciamo guidare dai nostri sensi e divaghiamo, divaghiamo tentando di sommare la nostra vista all’udito, incrociando un po’ timidamente sguardi nascosti sotto il bianco neutro delle maschere, assistendo alle azioni degli attori che pronunciano un testo dal contenuto purtroppo sfuggente. Può capitare, infatti, di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato, e alcuni indizi che potrebbero aiutarci a costruire una storia che possieda anche una parvenza di senso logico spariscono per sempre dalla nostra portata. Che l’effetto sia stato previsto? Può darsi. Quanto io sono riuscita a ricostruire è un intreccio che rappresenta un intrigo tra una giovane donna e il suo maggiordomo (forse), con l’intervento debole di qualche personaggio un po’ sopra le righe. Qualcuno, un certo Pierre (forse), il padrone di casa (forse) è morto… C’è una bara su un lato… Stop.

A leggere il comunicato, invece, dovrebbe essere così: “[…] le diverse storie di un gruppo di avventurieri dello spirito, riuniti per ritrovare l’esploratore Pierre Sogol disperso alla ricerca del Monte Analogo, luogo simbolico e inaccessibile nascosto dalla curvatura dello spazio e del tempo”. Non aggiungo altro.

La prima cosa che sono portata a fare è guardarmi intorno, capire dove mi trovo, quanto spazio abbiamo a nostra disposizione. E per questo mi dirigo (forse) un po’ controcorrente rispetto alle aspettative della messa in scena, nella zona meno esplorata in quel momento, ma d’altra parte, l’invito a perdersi per costruire la “propria” storia è stato chiaro dall’inizio.

Salgo le scale che portano a un pianerottolo, dove una cameriera sta ultimando di fare il letto di una piccola cameretta. Non faccio in tempo a osservarla che se ne va, scendendo le scale rapidamente passando accanto a me e ad altri due spettatori che erano lì da poco prima. Ci guardiamo negli occhi e non possiamo non esprimere con le spalle il nostro imbarazzo.

Assistiamo a una cena in cui si discute di cose che continuano a essere sfuggenti prese da sole – devo nel frattempo essermi persa qualcosa (forse) – e nella mia totale disattenzione vengo colpita dal dettaglio raccapricciante, a pochi centimetri da noi, della cameriera che continua a servire da bere nei bicchieri da una bottiglia ormai vuota.

Purtroppo non finisce qui. Nel salotto, si attende un numero sufficiente di spettatori per iniziare una danza dal sapore anacronistico: al centro della scena ora Julie, la giovane e avvenente donna, ubriaca, la tipica femme fatale in vestito rosso e calze nere opache (sigh!) con schiena scoperta e reggiseno viola in vista; due pugni nell’occhio, insomma, sferrati a pochi centimetri da noi. L’uomo che la seduce danzando in coppia con lei ha una barbetta finta grigia sul mento che non tiene più e comincia a cedere. Prima che sia troppo tardi, quindi, “sguardi” d’intesa con la mia collega che mi ha accompagnato e filiamo via.

Sono fiduciosa che il lavoro, giustamente definito come un esperimento, e così minuzioso dal punto di vista scenico, nelle repliche successive sia andato perfezionandosi nel rodaggio di piccoli accorgimenti che avranno fatto una grande differenza. Sul piano drammaturgico, però, le falle appaiono troppo evidenti – se non sono volute – e il tutto, se fosse stato rappresentato su un’unica parete, sarebbe stato un disastro totale. Se l’intenzione all’opposto – e come immagino sia – coincide con la restituzione di uno spazio frammentario, una storia tra le possibili storie, con noi fantasmi tra altri fantasmi, allora l’errore si trova a monte e non a valle, perché già nel pormi questo interrogativo posso affermare che quest’intenzione non è stata resa in modo chiaro e sicuramente avrebbe meritato di contemplare meglio i rischi e le difficoltà che il teatro immersivo comporta. “Augenblick” significa “istante”, e il sottotitolo dello spettacolo è “L’istante del possibile”. Ecco, basta perdersi un istante per perdere quella possibilità, per sempre… di capire.


Dettagli

  • Titolo originale: Augenblick - L'istante del possibile

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