Arti Performative

Carlo Cecchi/Scimone-Sframeli – Nunzio

Renata Savo

A vent’anni di distanza, torna per “Le vie dei festival”, la storica rassegna vittima quest’anno di pesanti tagli economici, “Nunzio” del duo Scimone-Sframeli con la regia di Carlo Cecchi. 

Quest’anno a Le vie dei festival vecchi capolavori in scena. Scelta, questa, dettata da problemi di non poco conto: una comunicazione di poche settimane fa del Comune di Roma che, ancora una volta, ha dimostrato un forte disinteresse verso le manifestazioni teatrali, avvisando dei tagli consistenti al budget; quasi dimezzato per questa edizione, per poco non ha impedito alla direttrice artistica, Natalia di Iorio, di organizzare il cartellone, costretta nelle sue scelte a rinunciare all’integrità dell’identità storica della manifestazione.

A parte qualche novità in ambito romano, con Fabrizio Gifuni nel suo reading Gadda e il teatro, un atto sacrale di conoscenza, la prima nazionale di Tony Laudadio Un anno dopo al Teatro Due, e un progetto gemellato con la rassegna milanese “Stanze” che prevede l’ingresso del teatro negli appartamenti privati, nelle difficili condizioni si è stabilito di puntare sugli artisti che hanno contribuito ad arricchire storicamente il festival, e su prodotti già rodati: da Toni Servillo legge Napoli allo spagnolo Circus Klezmer con Aire Aire (entrambi già passati dalla capitale nel 2012), alle vecchie produzioni (“vecchie” si fa per dire, perché se un testo funziona, il teatro diventa buono come il vino); la lettura de I tre Lai di Giovanni Testori, della compagnia Lombardi-Tiezzi, e Nunzio di Spiro Scimone, con l’inseparabile duo Scimone e Sframeli per la regia di Carlo Cecchi (per conoscere meglio il programma completo di Le vie dei festival, comunque, rimandiamo al link http://www.leviedeifestival.com/?page_id=2752).    

Proprio quest’ultimo testo, Nunzio di Spiro Scimone, ha divertito, forse anche intenerito, gli spettatori del Teatro Vascello il 30 ottobre. Sentimenti enigmatici, contrastanti, animano questa sceneggiatura in dialetto siciliano che non conosce tempo (messa in scena per la prima volta nel ’94) e che nonostante l’età è riuscita a non scadere in semplici etichette (comico/drammatico). Un’atmosfera che inevitabilmente fa pensare a Harold Pinter; per il personaggio di Pino (Spiro Scimone), un sicario tornato da non si sa dove e in partenza verso il Brasile, e per l’uso di espedienti drammaturgici misteriosi, come le buste da lettera che vengono lanciate dalle quinte in scena, dove sono presenti gli arredi della cucina di un appartamento degradato e sporco: specchio di una realtà esterna malavitosa piena di pregiudizi, ignoranza e squallore.

La storia di molti uomini del meridione si può condensare nella vita di Nunzio (Francesco Sframeli) affetto da una malattia respiratoria contratta a causa del suo lavoro di operaio in chissà quale fabbrica o miniera, che proietta i suoi desideri, i suoi sogni, in una modesta giacca regalatagli da Pino. Bisognoso di cure e di affetto, malato ancor più di solitudine, Nunzio rifiuta gli ospedali e preferisce prendere pillole ignote abbracciando, ogni volta che la tosse lo affligge, la parte alta del frigorifero sul quale è esposta, dietro un lumino sempre acceso, un’effigie del Sacro Cuore. Pino, continuamente in viaggio, lascia che la sua vita scorra tra una missione e l’altra facendo tappa nello squallido appartamento; nel suo cuore c’è una donna di cui non si sa molto e che resta sempre in secondo piano.

Non è chiaro quale sia esattamente la relazione tra i due personaggi, così diversi l’uno dall’altro, ma proprio quest’aspetto nutre di maggiore interesse la pièce anche quando il dialogo si fa volutamente banale e piatto (il merito in questo va alla regia), a sottolineare l’insensatezza, la banalità, del vivere quotidiano, del dialogo forzato tra due individui che in comune non hanno proprio nulla se non quel condiviso territorio di appartenenza, quell’interno dal quale si esce solo per fare la spesa e andare al lavoro perché il mondo esterno non offre null’altro; e il “bello” della vita è stringersi a un tavolo attorno al quale si mangia, si beve, si brinda (“alla morte”), ci si addormenta e, infine, si sogna.


Dettagli

  • Titolo originale: Nunzio

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