Arti Performative

Valentino Villa // Peccato fosse puttana

Renata Savo

I giovani allievi attori della “Silvio D’Amico”, diretti da Valentino Villa e in collaborazione con il Centro Sperimentale di Cinematografia, sono andati in scena al Teatro Studio Eleonora Duse con un classico del teatro elisabettiano, la storia di un amore impossibile tra un fratello e una sorella


 

In un presente che soffre del morbo di vestire in abiti contemporanei a qualsiasi costo ogni sorta di testo classico, vedere messa in scena, in costume, una tra le più note tragedie del teatro elisabettiano pare quasi un miraggio. Si tratta di Peccato fosse puttana di John Ford (in lingua originale, Tis Pity She’s a Whore), portato sul palcoscenico del Teatro Studio Eleonora Duse di Roma dagli allievi del III anno di recitazione dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico” diretti da Valentino Villa. La vicenda, dal titolo imbastardito nel rispetto delle originali intenzioni dell’autore, farebbe scalpore persino ai giorni nostri: narra l’amore incestuoso tra un fratello e una sorella; e, come se non bastasse, il suo culmine in un finale macabro, da film dell’orrore, in seguito all’impossibilità di sopravvivere al disonore procurato dall’ingravidamento. Valentino Villa ci risparmia, però, l’immagine grottesca di un cuore strappato, e lascia aperte le porte dell’immaginazione. Nel segno dell’apertura, la scena: gli attori possono camminare tra due file per due di spettatori disposte frontalmente le une verso le altre. L’area rettangolare al centro, agibile in continuità con il proscenio, mostra sul lato corto che delimita lo spazio uno specchio, e in fondo al palco ce n’è un altro. Un tale dispositivo scenico esalta la specularità del rapporto fratello-sorella e di amanti, perché l’immagine riflessa appare idealmente come un’eco, una tensione erotica del proprio io verso l’altro libera di diventare ‘noi’ soltanto nel riflesso illusorio del reale. Così, nella suggestiva scena iniziale, Annabella, in mezzo agli spettatori, osserva allo specchio, da sé distante e non riconosciuto, il fratello di spalle per il quale confida alla nutrice di avvertire un forte richiamo.

Su un grande tavolo al centro del palcoscenico, nel frattempo, giace dormiente un giovane; accanto a lui siede una ragazza avvolta in lenzuola di colore verde-azzurro. La morbida costituzione e la grazia del panneggio di lei rispecchiano i canoni di bellezza dell’arte tardo-rinascimentale; e sotto il disegno luci di Sergio Ciattaglia, i due corpi sembrano raggiungere l’equilibrio sensuale di forme, luci, colori e ombre della pittura caravaggesca. La coppia rappresenta altri Annabella e Giovanni e si alternerà all’altra; una scelta dettata dall’esigenza di garantire un’equa distribuzione delle parti tra tutti gli allievi attori del III anno di corso.

L’attenzione prestata alla composizione visiva della scena retta, oltre che dal disegno luci, anche dalla presenza dei costumi bellissimi – in piena armonia con il contesto storico del dramma e disegnati da allieve del corso di costume del Centro Sperimentale di Cinematografia in collaborazione con il maestro Maurizio Millenotti – è alla base di questa regia, piacevole, inoltre, per il dialogo tra accompagnamento sonoro e una recitazione dei volti particolarmente realistica. Quanto ai movimenti corporei, meno enfatizzati, sono stati volutamente limitati a favore dei primi piani: una scelta avveduta, considerata la prossimità degli attori allo spettatore, volta soprattutto a comunicare l’ingessatura di un mondo, non troppo dissimile poi da quello odierno, fondato solo sulle apparenze.


Dettagli

  • Titolo originale: Peccato fosse puttana

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