Arti Performative

Toni Servillo/Silvio Perrella // Raimondo. Vaniloquio non vano

Giovanna Villella

Inaugurata la 22ma edizione di Armonie d’Arte Festival, con la direzione artistica di Chiara Giordano, nel suggestivo Parco archeologico nazionale di Scolacium a Borgia (Catanzaro). In scena, il 22 luglio in prima assoluta, Toni Servillo con Raimondo. Vaniloquio non vano, operina lirica scritta da Silvio Perrella con musiche di Vincenzo Palermo eseguite dal vivo da Maya Palermo al flauto e Alfio Antico alle tammorre. Sul palco anche il coro femminile Ensemble Sententie Sonantes diretto da Alexandra Rudakova.

Il lavoro, ispirato dalla figura alta, controversa e di grande fascino di Raimondo di Sangro Principe di Sansevero nella cui cappella in centro storico a Napoli si trova il famoso Cristo velato, è una produzione originale del Festival e nasce da un’idea di Chiara Giordano, che dichiara: “Abbiamo voluto dedicare l’inaugurazione 2022 a questa figura di intellettuale, scrittore, illuminista antitradizionale per la forte portata di modernità che esprime quasi come simbolo di pensiero libero, laterale, non omologato, non di propaganda, assetato di innovazione, capace di visione, tutti temi quanto mai contemporanei e coerenti al grave dibattito nazionale ed internazionale in corso”.

Lo spettacolo si connette pienamente alla declinazione 2022 del macro tema del Festival Nuove rotte mediterranee: Transiti in cui il concetto di “transiti” non indica solo una traiettoria geografica o materiale, ma proprio l’accezione immateriale: si rileva uno stupefacente transito valoriale che dal tempo settecentesco migra al nostro tempo, proponendo una riflessione potente e straordinariamente carica di contemporaneità.

Raimondo. Vaniloquio non vano è un testo poetico, sotto forma di divertissement con una tendenza alla “dismisura” che è, forse, un’antica misura abituale ai comportamenti del Sud tra un negativo continuamente rimosso e la sua continua rimessa in positivo che trova momenti di straordinaria tensione.

In questa tendenza all’espansione semantica, il poeta drammatizza gli eventi e l’io lirico diventa straziante e inquieto autoritratto di Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero proiettato in uno specchio deformante: “Sono Raimondo […] Faccio fuoco di parole […] Il mio traguardo è in chi ascolta”, fino all’identificazione/redenzione nell’ “uomo cristo libero e in catene primo uomo/ ultimo uomo manufatto alchemico di me”.

Un Raimondo erratico, erotico ed eretico in cui biografia, rapporti personali, l’apparentemente illogica sequenza dei rapporti, dei pensieri, dei sogni e delle occasioni si salda nella poesia di Perrella come scrittura del presente che si erge turgida e ridondante.

Il simbolismo complesso e vorticoso e l’avvicendarsi di figure retoriche estese, trovano la loro naturale espressione in un linguaggio fervido e sanguigno, denso nei ritmi, bizzarro per scarti, assonanze e immagini a sorpresa fino a risolversi in toni misticamente inquieti che ricordano il Rebora notturno.

Dopo il perentorio incipit con l’uso della prima persona a rivendicare identità e rango, ecco l’ascesa di Raimondo in una mappa geografico-scrittoria sublimata nel verso “madide ho le mani /meridiane affrante” mentre le immagini, attinte dalle radici della classicità “Svuoto dall’interno, a trucchetto, il masso di Sisifo/ne lascio solo l’involucro/lucrando sul peso fino a farlo nuvolina da passeggio”, sono abbattute dalla raffica dissolvente della contemporaneità che ne sbriciola le trame, ne disossa le figure.

E se le tre Madonne – Beatrice, Laura, Monna Lisa – chiamate in causa dall’autore sono magari anche localizzabili nell’esperienza letteraria del poeta, esse diventano figure sfuggenti o fantasmatiche presenze nel momento in cui fanno da filtri speculari in questa sorta di cantiere linguistico-culturale in cui la lingua si fa para-poietica travalicando l’esperienza e la pratica versificatoria strettamente “lineare”.

Poi la voce di Servillo, contrappuntata dal coro, diventa “formicolio di canto”, preghiera quasi: Vela svela… Vela che in chiosa trasmuterà nel “velo veloce” che copre il Cristo, supino, dormiente.

Nel finale l’ordito poetico assume un andamento lento, sommesso e solenne “Stanotte darò vita alla cappella…”. Raimondo “immondo”, sfiorato dal velo, inizia la sua discesa e ogni parola è come sospesa, un “ponte” che congiunga due rive opposte attraverso il désir fino al silenzio.

Siamo di fronte a un corpus espressivo vivo di implicazioni, artistico in quanto capace di interrogare il proprio e il nostro tempo.

La necessità di Perrella di agire sugli oggetti verbali operando una “distruzione” in contrapposizione alla convenzione che carica la scrittura di valenze immediatamente liberatorie e leggibili e la velocità di circolazione interna allo stesso linguaggio sono le precise spie di una forza costruttiva che si delinea in felice e sregolata profluvie, in polisemia randagia, in spiazzamento e gioiosa devianza.

Nel dionisiaco piacere della assonanza/dissonanza, della disgregazione e dell’assemblaggio il testo emerge come forma liberata dal buio corpo del nulla, al pari della statua che si invera nel blocco di marmo uniformemente bianco.

La magistrale interpretazione di Toni Servillo, che da sempre coltiva un grande amore per la parola poetica, crea una tensione sotterranea tra parola detta e il testo, dove la pacatezza sta nella precisione di una dizione antiretorica e l’emotività è filtrata, ma anche potenziata, da una lucidità intellettuale.

L’atto linguistico diventa atto erotico, Servillo non “presta” la sua voce ma cerca la voce del poeta, e questa ricerca diventa una sorta di canto parlato, un lied che va dall’intonazione pura alle note alte, con una voce quasi non materica dai toni vibranti, crescendo smorzati o sesquipedali enumerazioni in cui la parola si torce, si contorce, si sfilaccia ed esplode in tutta la sua violenza fonematica fino alla voce diaframmata con registri bassi e slabbrature che conducono al sussurro finale, “a sibilo perso”.

E la musica di cielo e di terra composta da Vincenzo Palermo, affidata al flauto magico di Maya Palermo e alle tammorre potenti di Alfio Antico con intermezzi vocali del coro femminile Ensemble Sententie Sonantes, diretto da Alexandra Rudakova, accompagna con aderenza narrativa questo periodare poetico. La giovanissima Maya Palermo possiede tecnica e sensibilità in così alto grado da trarre dal suo flauto suoni caldi, vibranti e pieni ma sa anche essere delicata e capace di momenti dolcissimi mentre la vigoria espressiva delle tammorre di Alfio Antico fa esplodere le inquietudini e i rovelli imprigionati nella scrittura laddove nel coro, la parola – bruciando le scorie del testo – sale, pura, verso una polifonia stuporosa o febbrile a mo’ di prosciugato libretto.

C’è un unico dubbio in questo capriolare linguistico: lo spettatore non riesce sempre a localizzare gli oggetti poetici accanitamente manomessi, destrutturati e traslati dal loro alacre costruttore.

[Immagine di copertina: foto di Antonio Renda]



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