Cinema Festival

The Jump

Stefano Valva

Com’è curioso che un semplice gesto, un’azione corporale, tal volte possa comportare o almeno processualmente conseguire la libertà, la fine delle sofferenze, l’arrivo in un contesto pacifico e fertile. Chissà che sensazioni ha provato Simas Kudirka, quando si è reso conto che un tanto immediato quanto pericoloso gesto atletico lo divideva da una mutazione radicale della sua vita.

Deducendo che ve lo stesse chiedendo, Simas Kudirka era un soldato lituano della marina militare dell’ex URSS, durante la guerra fredda. Divenne una sorta di celebrità, perché egli in una gelida giornata di novembre del 1970, al largo delle coste dell’atlantico – ove si incrociavano le navi americane e sovietiche per accordarsi sui confini marittimi – fece letteralmente “un salto” dalla nave russa a quella statunitense, per richiedere asilo politico, così da sfuggire ad una complicata esistenza – per un cittadino di tutti quei piccoli paesi annessi all’URSS – dovuta alla repressiva dittatura comunista.

Il regista Giedre Zickyte da tale storia realizza un documentario sensibile e rigoroso, appena presentato alla festa del cinema di Roma. Il titolo non poteva che essere The Jump, proprio perché il gesto atletico è il totem della vicenda, un’iconografia divenuta cult nella cultura popolare statunitense, nell’epoca della cold war (anche titolo di un film delizioso del 2018 di Paweł Pawlikowski).

Il documentario di Zickyte oltre al tema, risulta intrigante anche per un linguaggio diversificato: nella prima parte lo spettatore viene coinvolto attraverso il racconto orale del protagonista, che ritorna da anziano nei luoghi caratteristici della sua storia, ripercorrendo oltretutto in maniera maniacale, ogni sensazione fisica e psichica provata in quei momenti, un locus del trauma ove riaffiorano dall’inconscio le esperienze vissute, i momenti adrenalinici e di terrore. Inoltre, il documentario si completa – attraverso un decoupage oramai standardizzato per tale forma cinematografica – con reportage di immagini inedite, ergo servizi giornalistici dell’epoca, interviste odierne agli allora protagonisti dell’evento, pensieri sui corsi storici e sulle contraddittorietà dell’America conservatrice guidata da Nixon.

Un episodio, che per l’appunto, mise in luce i lati oscuri di un’America con una democrazia alquanto ambigua, alquanto confusa, quindi non sempre fedele ai valori e alle ideologie sulle quali si sono edificati gli USA. Non aiutata inoltre, dall’opinione pubblica e dalle proteste nelle piazze per la guerra fredda e per quella in Vietnam, perché se la politica dello zio Sam diffuse una pubblicità occulta verso l’URSS – visto archetipicamente come il luogo dei malvagi, come la dimora dei villain simili a quelli del grande schermo – allo stesso tempo le persone cominciarono a captare che anche la liberale e modernista America, creò delle proprie zone d’ombra, che cercava in ogni modo di non mettere in luce.

Il viaggio in tarda d’età di Simas, non è funzionale per attivare la macchina della nostalgia, perché la libertà non si conquista solamente con un gesto atletico, con un glorioso salto da una parte all’altra, bensì attraverso la sofferenza, la prigionia, gli scontri diplomatici, ossia tutte quelle conseguenze che si attivano fisiologicamente, dopo un’azione ambiziosa e sorprendente.

Il volto maturo del protagonista – inquadrato spesso in primo piano dal regista – aumenta il pathos drammatico del documentario, l’inquadratura dettagliata ne accentua la stanchezza, le sofferenze vissute, l’intensità dell’esistenza, il vortice di emozioni che si ripresentano costantemente. Il volto consumato di un lituano, che ha visto solo nel 1991 l’indipendenza del suo paese dalla dittatura latente della Russia, e che ha coltivato sempre il sogno americano, ed allo stesso tempo quello recondito di ritornare da uomo libero a casa e godersi il tramonto della vita (un po’ come fece il protagonista irlandese de un uomo tranquillo di John Ford).

La scelta dello stile oggi definito tarantiniano tra scena iniziale e finale dell’opera non è un caso, perché il viaggio di Simas è archetipicamente odisseico, ove però ci si ritrova come viaggiatori non per scelta, si ricerca la pace, ma alla fine la vera liberazione è quella di ritornare in patria e di ottenere finalmente una propria identità, personale e nazionale. Un salto verso l’asilo politico, che è anche un salto sociale e culturale, per dare uno slancio figurativo ed ideologico ad un decennio appena iniziato, con il sogno utopico (ove utopia non è intesa come irrealizzabilità, per dirla alla Walt Disney se puoi sognarlo, puoi farlo) di mettersi alle spalle l’era dell’odio, della paranoia e delle divisioni.

 

 


  • Diretto da: Giedrė Žickytė
  • Prodotto da: Giedrė Žickytė, Uldis Cekulis
  • Musiche di: Kipras Mašanauskas
  • Fotografia di: Rimvydas Leipus Lac
  • Montato da: Thomas Ernst, Danielus Kokanauskis
  • Casa di Produzione: MOONMAKERS, VFS Films
  • Data di uscita: 09/10/2020 (Varsavia), 16/10/2020 (Roma)
  • Durata: 85 minuti
  • Paese: Lituania, Lettonia, Francia

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