La differenza sta tra il singolare e il plurale, The Grandmasters, un film che ci si aspettava si concentrasse solo sull’ormai tanto leggendaria quanto popolare figura del maestro Ip Man (resa famosa dalla star Donnie Yen), è in realtà un racconto di nazioni. Bagua, Wing Chun, Baji, Xingyi, sono le arti e l’orgoglio di ogni singolo, racchiuse nei confini d’ognuno dei suoi rappresentanti, soggetti agli sconvolgimenti storici che colpirono la Cina nel primo cinquantennio del Novecento.

 L’atteso film di Wong Kar-wai, come lui stesso dice, è un film sul Kung Fu e non di Kung Fu, ruota intorno a Ip Man e al Foshan, seguendo le sorti dei grandmasters attraverso la Storia, avvalendosi del sostegno di Xu Haofeng alla sceneggiatura, celebre scrittore di romanzi d’arti marziali e ormai regista affermato (The Sword Identity, Judge Archer). Anche se ruvida in alcune transizioni, la pellicola è in pieno stile Kar-wai: elegante come In the mood for love, personale come tutti i suoi più grandi successi.

La fotografia così mantiene la sua sgranatura, impone tagli di luce drastici e il tempo rallenta, ma i terzi vengono sempre mantenuti, anche quando le coreografie di Yuen Woo-ping volano come i suoi attori: Tony Leung Chiu-wai (Ip Man, Wing Chun), Zhang Ziyi (Gong Er, Bagua), Chang Chen (The Razor, Baji), Zhang Jin (Mo San, Xingyi). Azione spettacolare, in evoluzione orizzontale e verticale, come le due parole più importanti del Kung Fu, attrazione secondaria rispetto alla filosofia degli uomini e le donne rappresentate.

Un gran ritorno dopo ben sette anni di silenzio, con la sua squadra sempre al suo fianco, una preparazione lunga quanto la precedente di Ashes of time, iniziata nel 1996 come enorme lavoro di ricerca per terminare nel riuscitissimo film d’apertura della Berlinale.