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Terreni Creativi Festival ad Albenga: “Scampati” e pronti. Intervista a Maurizio Sguotti di Kronoteatro

Renata Savo

Sabato 1 e domenica 2 agosto si svolge nell’entroterra ligure di Albenga, l’undicesima edizione di Terreni Creativi Festival, promosso dalla compagnia Kronoteatro.

Un’edizione particolare, diversa, intitolata “Scàmpati”, con un duplice significato. Perché Terreni Creativi c’è, si fa, nonostante le criticità del tempo presente, che sono logistiche, sanitarie ed economiche. E già questo non è poco. E poi perché “scamparsi” in dialetto ligure  significa “divertirsi”.

Tuttavia, in questo periodo di convivenza con il Covid-19 il festival dovrà fare a meno di una parte che è stata fondamentale nelle scorse edizioni: la sua convivialità. Un’assenza importante ma che scalfirà solo in parte l’identità di una manifestazione costruita nel corso di un decennio e oltre di attività. Aspetto fondamentale, infatti, che rappresenta un unicum nel panorama italiano, forse, è presentare spettacoli teatrali, di danza e di musica all’interno degli spazi delle aziende agricole. Luoghi non teatrali,  quindi, perfettamente funzionanti, non dismessi, anche se meno attivi in estate, e quest’anno sicuramente più provati dal punto di vista economico. Vale la pena, però, di ricordare che il festival ha ricevuto negli anni importanti riconoscimenti quali il Premio Garrone 2016 – Premio speciale della Giuria e il Premio Rete Critica 2017 come miglior progetto di comunicazione. “L’emergenza sanitaria legata al coronavirus ha fortemente penalizzato il festival – si legge nella nota stampa – ma, nonostante tutte le difficoltà organizzative ed economiche, l’undicesima edizione del festival si terrà“. Di come sarà e di come è stato lavorarci, abbiamo parlato con Maurizio Sguotti di Kronoteatro. Mentre il programma di Terreni Creativi è consultabile al link www.terrenicreativi.it.

 

L’XI edizione del festival è in un formato di dimensioni più ridotte. Non soltanto da un punto di vista del pubblico, giustificato dalle ovvie ragioni sanitarie, ma anche nell’offerta. Quali sono i motivi che hanno spinto a realizzare in ogni caso l’evento e di che natura sono invece i motivi che giustificano questa drastica riduzione del programma (per intenderci, se è venuto meno un importante sostegno economico, oppure se le condizioni sanitarie imponevano condizioni talmente restrittive da rendere impossibile essere fedeli al proprio progetto artistico)?

Le ragioni sono valide, e la questione economica è stata fondamentale, avendo le collaborazioni con i privati e le aziende agricole che noi usiamo come location degli spettacoli (sono degli spazi industriali che allestiamo e ogni serata lo spazio è differente) ed essendo queste in grandi difficoltà come oggi lo è tutta la filiera produttiva italiana è venuto meno il discorso relativo al sostegno economico di queste aziende private. In più, c’erano quest’anno delle difficoltà a trovare le varie location: infatti alla fine abbiamo concentrato per questa edizione tutto in un solo luogo. Abbiamo deciso di ridurre i giorni per questi motivi. Da un punto di vista di discorso sanitario, riuscendo a fare gli spettacoli all’aperto, non c’era grande esigenza di ridurre il numero degli eventi, però la nostra serata ogni anno è stata strutturata con la cena inclusa, che quest’anno non riusciremo a fare per una questione di sicurezza. Abbiamo dovuto quindi abbreviare la serata e di conseguenza abbiamo dimezzato il numero degli spettacoli, sia per ragioni economiche e sia per riuscire a sostenere logisticamente gli eventi, in modo da dare la possibilità agli spettatori di arrivare a un orario in cui avessero potuto già cenare, mentre nelle precedenti edizioni la caratteristica che un po’ rappresentava questo festival era la parte conviviale. L’altro problema molto grande che abbiamo è che da un punto di vista di contribuzione degli enti pubblici, al di là del Comune di Albenga che interviene quando può (ed è comunque un comune piccolo e in questo momento anche con problemi finanziari), non abbiamo molti aiuti dalla Regione. Tuttavia, siamo sempre riusciti a realizzare il festival proprio perché lo abbiamo sempre visto come un appuntamento necessario per noi e per il territorio. Mi chiedevi del perché quest’anno abbiamo deciso comunque di farlo: per noi è un atto politico, quello di esserci. Pensiamo sia necessario essere presenti e volevamo tentare di realizzare il festival per dare un segno a chi ci segue da anni, esprimere la nostra presenza anche in questo momento di difficoltà. La voglia di aggregazione è molto forte, al di là dei limiti, che ci sono e anche giustamente, perché dovuti alla sicurezza; ma pensiamo che le persone abbiano voglia di cercare un momento di riflessione, di divertimento, ecc. …

Come era articolata una serata a Terreni Creativi gli anni scorsi?

Si partiva con un primo spettacolo per un numero limitato di spettatori intorno alle 17.30, poi c’era un secondo spettacolo intorno alle 18.00 o alle 19.00, e quello era lo spettacolo in cui iniziava l’afflusso degli spettatori, che aumentava la possibilità di costruire in vari spazi un percorso con spettacoli sistemati all’interno di una location con varie situazioni allestite. Dopo il secondo spettacolo c’era la cena, poi altri due spettacoli e, infine, la musica. Questo costruiva una comunità del Festival, forte e grande. Avevamo 300 persone a sera, e parliamo di pubblico pagante. La particolarità di Terreni Creativi è che è un festival partecipato, oltre che frequentato da addetti ai lavori, che sono di numero limitato: il grosso è pubblico del territorio, che viene anche dalle regioni limitrofe, e qualche turista. C’è una comunità molto grande, che durante l’inverno segue anche le altre nostre manifestazioni e quindi diciamo che il momento conviviale è sempre stato un momento in cui il pubblico ha possibilità, su queste tavolate, di chiacchierare tra loro delle cose viste o da vedere, parlare con gli artisti o con i critici. Si respira un’aria particolare che tutti coloro che partecipano a questa manifestazione in qualche maniera sentono. Credo sia uno dei fattori che in qualche modo fa sì che il festival abbia grande successo, sia di pubblico sia di critica.

Si dice che la musica, in questo periodo storico, sia stata l’arte più penalizzata, essendo quello musicale un mercato che si regge in gran parte sui numeri ai concerti. In questa edizione speciale di Terreni Creativi coesiste una forte e interessante componente musicale. È una novità per la manifestazione?

No, teatro, danza, musica, ci sono sempre stati tutti. Sono solo diminuite il numero di performance. Il festival prima durava quattro giorni, poi negli ultimi anni tre giorni. E ora venendo meno la parte conviviale, due giorni: sappiamo che è importante, ma siamo sicuri che l’atmosfera di accoglienza sarà la stessa, avremo un altro format, ma Terreni Creativi non si smentirà.

Ci puoi parlare della location?

È l’azienda agricola BioVio. Prima ogni sera il pubblico aveva la possibilità di avere di fronte un nuovo spazio, allestito in maniera differente, sia all’aperto sia al chiuso. Gli spazi che noi utilizziamo sono gran riserve, con gli scomparti in vetro. Albenga ha un’estensione molto pianeggiante, qui le aziende agricole producono piante aromatiche, e i produttori sono i maggiori a livello europeo. Sono quindi degli spazi industriali molto grandi, alcuni hanno anche il tetto in vetro. Da un punto di vista di allestimento è interessante anche per il pubblico conoscere questi luoghi della produzione e vederli utilizzati per fare cultura.

La particolarità, quindi, è che non si tratta di luoghi dismessi o da rivalorizzare, ma di spazi industriali che sono in attività?

Questi luoghi sono attivi e nel momento in cui facciamo il festival è un periodo in cui l’attività è più ridotta, ma un po’ ce n’è sempre. Sono luoghi che non sono frequentati normalmente, perché non fanno un commercio al dettaglio, ma all’ingrosso. Per questo non sono molto conosciuti, ma l’attività delle aziende agricole qui è molto sviluppata, è solo poco conosciuta nel senso che lo spettatore arriva nell’azienda per la prima volta e conosce una realtà di cui magari ha sentito parlare ma non ci è mai stato; non sa come si lavora in questi luoghi e vi entra per la prima volta.

Queste operazioni danno anche il senso allo sponsor, perché non si tratta solo di mettere un logo, ma si tratta di abitare il luogo che sostiene attivamente l’evento, che viene scoperto quasi toccandolo con mano. Questo crea anche nuove relazioni in termini umani? Questo riesce ad avvicinare concretamente anche un pubblico che di solito è lontano dal mondo della cultura?

Assolutamente sì, facilita a dialogare e a conoscersi. E poi, effettivamente, il target di pubblico che segue Terreni Creativi è molto eterogeneo: ci sono sia amanti del teatro e della danza e sia persone che a teatro e nei luoghi abituali non verrebbero mai. Vengono proprio perché sono in quella situazione.

Fruiscono di spettacoli a volte anche non semplicissimi, ma la situazione costruita e il clima che si respira portano questi spettatori a fidarsi delle proposte che noi gli facciamo, in qualche maniera vengono presi per mano e molto spesso è successo di rimanere abbastanza colpiti dal fatto che anche chi si poteva pensare non avesse gli strumenti per leggere determinate cose, poi, invece, in quella situazione riesce a recepire, a seguire (poi, è ovvio, i pareri possono essere negativi o positivi, però se ne parla). C’è sempre questo scambio con il pubblico: è importante perché fa parte di un’educazione al teatro, fa parte della creazione e della crescita di una comunità che si costruisce attorno agli eventi e alla cultura. Rispetto al fatto che dicevi, degli sponsor delle aziende agricole, non è da sottovalutare un fatto: queste aziende non hanno nessun ritorno da un punto di vista commerciale, perché la maggior parte delle loro attività avviene all’estero, in Europa, quindi esportano lì. Quello che fanno, lo fanno per il territorio: investono in cultura per il territorio, non hanno un grande ritorno. L’incontro con queste aziende è stato importantissimo per noi: abbiamo conosciuto delle persone illuminate, a cui del logo inserito non interessa un granché. Il dialogo con loro ci ha dato la possibilità di costruire questa manifestazione.

C’è qualcosa che si può imparare dai limiti dettati dalla situazione di emergenza sanitaria?

Tutto. È stato necessario vedere tutto in un’altra ottica: quello che è successo ha fatto pensare molto. Nel momento in cui c’è stata la ripartenza e si è dovuto fare i conti con tutto questo, qualsiasi cosa che prima si faceva in una certa maniera, viene vista ora secondo un’altra ottica. C’è stato un nuovo modo di approcciarsi alle problematiche, alle cose da risolvere. Al di là di Terreni Creativi, per tutto quel che sarà la nostra produzione e la nostra organizzazione, nulla sarà mai più come prima.

Per quanti posti siete riusciti a immaginare il festival?

Abbiamo pensato di arrivare al massimo a cento, centoventi, persone a sera. Vogliamo stare tranquilli e gestire in modo sereno le situazioni. Gli anni scorsi eravamo sui trecento, che era il massimo: dovendo organizzare la cena, e considerato che gli spazi non sono teatrali e quindi con grandi numeri non hanno una buona visibilità, abbiamo cercato sempre di restare su quelle cifre. Per ora la prevendita dei biglietti sta andando bene, ma non sappiamo che riscontri avremo.

i Maniaci d’Amore



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