Cinema Festival

Small Axe: Red, White and Blue

Stefano Valva

Steve McQueen torna alla regia ed alla sceneggiatura – dopo il thriller Widows – con un progetto ambizioso, frutto di una collaborazione fra BBC One ed Amazon Studios. Small Axe (titolo anche di una canzone di Bob Marley) è una miniserie composta da cinque episodi antologici – format che le case di produzione televisive britanniche prediligono – che si sofferma sulla situazione sociale della comunità di colore fra gli Anni ’60 e ’80 a Londra. Eppure, la serie sembra effettivamente proprio un insieme di cinque film (seppur oggi sia ormai labile la differenza tra molte produzioni seriali e quelle cinematografiche) accomunati da un macro-tema, che il regista afroamericano riportò alla sensibilità di tutti, con la vittoria degli Oscar nel 2014 per 12 anni schiavo.

Il primo presentato ieri alla festa del cinema di Roma sarà l’ultimo a debuttare in tv, e si tratta di Red, White, and Blue. Ci troviamo presumibilmente negli Anni ’80 (lo si riesce a scorgere anche tramite un frame, che inquadra in una sequenza il ritratto della Regina Elisabetta II, che a molti farà venir voglia di una ripassata di The Crown), ove Leroy Morgan, interpretato dalla star del nuovo Guerre Stellari John Boyega, decide di mettersi contro la famiglia e la propria comunità arruolandosi nella polizia di stato, a detta sua per cambiare le cose dall’interno. È risaputo, che in quel periodo in una Londra simile socialmente alla cugina New York, vigono estremi pregiudizi razziali nei confronti della comunità nera e non solo, che creano svariati abusi di potere da parte della polizia (problema ancora attuale, se si pensa al movimento black lives matter).

Eppure, Leroy non è il classico inetto – come i personaggi del secolo precedente in 12 anni schiavo – che si fa abbattere dai contesti negativi, dalle critiche che gli provengono da tutte le parti, e al vivere tra due fuochi, ossia tra il disgusto dei colleghi bianchi e la frustrazione delle persone di colore, che lo etichettano come un traditore. Non aiuta nemmeno la situazione personale, ossia il rapporto col padre – che è una costante durante gli 80 minuti dell’opera – il quale non accetta che il figlio butti all’aria i suoi studi per sposare una causa che sembra persa in partenza, e che gli può comportare solo grattacapi.

D’altronde, Leroy resta all’occhio dello spettatore (consapevole dei successivi processi culturali) un pioniere, come lo è il protagonista del BlackKklansman di Spike Lee o a modo suo il Django di Quentin Tarantino, perché per abbattere le culture razziali e pregiudiziali tal volte si deve agire dall’interno, solo così possono mutare davvero le civiltà. A McQueen dopotutto non interessa (almeno non solamente) rispondere a tale quesito, si sofferma invece più sul processo di crescita in personalità e in umanità di un ragazzo che rappresenti le nuove generazioni, e che cerchi in tutti i modi una strategia per smuovere le coscienze sociali di un paese, tanto multietnico in superficie, quanto regressivo nella convivenza tra le comunità. E poi il regista sottolinea un citato rapporto padre – figlio, ove l’incomunicabilità tra due lontane generazioni è talmente forte da rovinarne l’empatia. Ad ogni modo, la comprensione ed il supporto morale sono processi difficili, ma non impossibili da realizzare. Tale aspetto, seppur sia preminente, è anche quello che il regista – nel tempo che ha a disposizione – non riesce del tutto ad evolvere, soprattutto in relazione alla caratterizzazione del personaggio del padre, che in alcune sequenze diviene colpevolmente involuta.

Red, White, and Blue è tout court una vera opera cinematografica, anche in virtù delle tecniche: la regia e il decoupage sono diversificati, ove in ogni sequenza la camera assume aspetti diversi, con differenti punti di vista. Lo spettatore diviene un collega che sta alle spalle o a fianco del protagonista durante un inseguimento girato in piano sequenza;  durante le scene in auto, ove la strada e gli altri personaggi sono visti dall’interno della macchina; inoltre, c’è una preferenza di campi lunghi durante gli addestramenti delle reclute o nelle sequenze in esterni; campi contro campi invece, sia frenetici, sia estenuanti, durante dialoghi clou dell’episodio, per esempio tra il protagonista ed il padre, e tra di nuovo il protagonista ed il capo del distretto.

Tutto ciò crea una duttilità, che rende esteticamente piacevole la visione dell’opera, anche su di un piccolo schermo (Small Axe debutterà a novembre sulle piattaforme televisive e on demand), e che conferma l’abilità di un cineasta, non solo sensibile ai temi, ma anche all’estetica. Red, White, and Blue come la bandiera della Gran Bretagna, e che un ostinato Black come Leroy ha iniziato – insieme ad altri, con altrettante storie del microcosmo sociale – a renderla progressista, così da avere oggi una Londra un po’ più multietnica in sostanza, che in forma.


  • Diretto da: Steve McQueen
  • Prodotto da: Steve McQueen, Tracey Scoffield, David Tanner, Lucy Richer
  • Scritto da: Steve McQueen, Courttia Newland
  • Protagonisti: John Boyega, Steve Toussaint, Antonia Thomas, Tyrone Huntley, Nathan Vidal, Jaden Oshenye, Neil Maskell, Nadine Marshall, Mark Stanley
  • Musiche di: Mica Levi
  • Fotografia di: Shabier Kirchner
  • Distribuito da: Amazon Studios
  • Casa di Produzione: EMU Films, Turbine Studios, BBC Studios, Amazon Studios
  • Data di uscita: 25/09/2020 (New York), 13/12/2020 (Amazon)
  • Durata: 80 minuti
  • Paese: Stati Uniti, Regno Unito
  • Lingua: Inglese

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