Arti Performative

Silvia Frasson/Alessandro Waldergan // I DissacrAttori del mito

Renata Savo

Al Rialto Sant’Ambrogio di Roma, armati di simpatia e capacità immaginifica, due DissacrAttori intraprendono un sorprendente viaggio alla riscoperta dei miti dell’antica Grecia

Quando ti metterai in viaggio per Itaca / devi augurarti che la strada sia lunga / fertile in avventure e in esperienze. […] Sempre devi avere in mente Itaca / – raggiungerla sia il pensiero costante. / Soprattutto, non affrettare il viaggio; / fa’ che duri a lungo, per anni […]

E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. / Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso / Già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.

Itaca, la poesia di Kostantin Kavafis, chiude tra fragorosi applausi il viaggio metaforico di Silvia Frasson e Alessandro Waldergan da una parte all’altra del Rialto Sant’Ambrogio di Roma. Un viaggio «che non ti aspetti», come qualcuno lo ha saggiamente definito, che trascina gli spettatori nei pensieri inespressi dei personaggi della mitologia classica, di cui si offre una visione inedita, comica e intelligente.

Da dove partono? Da molto lontano; più precisamente, dall’Etruria: i suoi abitanti diedero i natali a una serie di miti che si ritrovano pressappoco identici nell’antica Grecia. Il “perché” provano a dircelo I DissacrAttori del mito, con la briosa simpatia del dialetto toscano e le brillanti intuizioni che guardano al passato attraverso la lente del presente, facendo esplodere l’atmosfera di ilarità. Le loro indagini sono dei percorsi a tentoni, perché è il viaggio, non la meta, che conta, come afferma tra le righe lo stesso Kavafis, e questo spassoso viaggio dentro la psicologia degli eroi di cui narrano le gesta ne è la dimostrazione.

Ad essi, «belli e bravi» (“kaloi kài agathoi”) come vorrebbe la tradizione, infatti, i due DissacrAttori strappano l’aura per illuminarli di nuova e demistificante luce, restituendone un’umanità sconosciuta ai libri di storia. E se la dissacrazione del mito come “oggetto di studio” è, quindi, sempre sullo sfondo delle loro rivisitazioni, i DissacrAttori diventano “maestri” nel tentativo di appropriarsi di quella stessa abilità immaginifica decantata dai manuali di epica classica. Come aedi moderni, infatti, si fanno portavoce di eventi non vissuti in prima persona: “non vedono”, appunto, ma presumono di “conoscere”, “fanno vedere” attraverso la voce e il gesto, le peripezie, i mondi di personaggi distanti. Incatenano lo spettatore all’ascolto, perché l’udito, ecco, resta non a caso il senso più solleticato da questo spettacolo: tra uno spostamento e l’altro, durante il viaggio, il pubblico può udire la bellissima musica al violoncello dell’incantevole Naomi Berrill, il “canto della sirena” che vorresti non finisse mai.

Dopo la lunga parentesi ironica dei primi tre quadri – come i miti dell’antica Grecia sono stati mutuati dagli etruschi, le peripezie di Ulisse, il mito poco noto del cinghiale Calidonio – l’ultimo quadro, sulla saga dell’incestuoso Edipo e della sua prole, è l’approdo finale di un viaggio condiviso: i toni ironici virano imprevedibilmente, i due attori cambiano rotta svelando eccezionali qualità di immedesimazione drammatica durante l’interpretazione di una loro originale scrittura ispirata al mito in chiave moderna di Anouilh.

Alla fine, quindi, il potere liberatorio e l’empatia tragica prendono il sopravvento sull’ironia dissacrante per confluire in ultima analisi nei versi di Kavafis che chiudono lo spettacolo (e aprono questa recensione): partiti dal teatro e dalla spettacolarizzazione della mitologia classica, Silvia Frasson e Alessandro Waldergan, nei panni di Antigone e Creonte, arrivano al cuore dello spettatore e alla vita reale, dove oggi – esattamente come allora – bisogna viaggiare molto e soffrire di più prima di arrivare a destinazione.


Dettagli

  • Titolo originale: I DissacrAttori del mito

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