È Giovanni Veronesi ad aprire l’ottava edizione del Festival internazionale del film di Roma con il suo nuovo lavoro L’ultima ruota del carro, presentato nella sezione fuori concorso, riscuotendo un discreto consenso in sala. Dopo aver descritto le avventure degli italiani all’estero in Italians, il regista romano torna a mostrare interesse per la storia del nostro paese fornendone un quadro dell’ultimo trentennio attraverso i vizi e le virtù con risultati non troppo convincenti.

Ernesto (Elio Germano) è un giovane cresciuto all’insegna dei sani principi e della cultura del lavoro. Dopo aver sposato la sua amata Angela (Alessandra Mastronardi), su forti pressioni della famiglia di lei, si dedica controvoglia alle attività più disparate fino realizzare la sua aspirazione, ossia quella di aprire una società di traslochi con il suo amico storico Giacinto (Ricky Memphis). Con il passare degli anni i due tentano una scalata in un’azienda dai movimenti poco trasparenti.

L’intento di creare un connubio tra il percorso di crescita dell’Italia e quello di un uomo semplice e buono rappresenta un ottimo punto di partenza dal quale cominciare. Il personaggio di Ernesto, infatti, viene inserito all’interno di un tessuto sociale governato da dinamiche a lui estranee e poco adatte alla sua personalità ingenua come raccomandazioni, scalate sociali, situazioni finanziarie al limite del legale. Caratteristiche che lo dipingono quasi come un eroe dei nostri giorni al quale fa da contraltare la figura di Giacinto la cui unica volontà è quella di emergere ad ogni costo e ottenere soddisfazioni sul lavoro ricorrendo a ogni tipo di mezzi, anche illeciti.

Le tante buone premesse, però, sono notevolmente annacquate da una sceneggiatura esile e costellata di luoghi comuni che danno il pretesto sia a dialoghi dal banale stampo sentimentale sia a sketch di comicità frivola che, pur suscitando la facile risata, non risultano sempre funzionali e rallentano narrazione. Ne sono un esempio lampante i furbi riferimenti alla politica, quasi a voler toccare un nervo scoperto del pubblico. Facile comprendere come una scrittura così piatta penalizzi le prove degli attori che non riescono sempre a dare la necessaria consistenza ai propri personaggi, eccezion fatta per il valido Germano e, soprattutto, Alessandro Haber ottimo nei panni del personaggio del “maestro”, concepito su misura per lui.