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Presentazione di “Questioni di scarti”

Roberta Iadevaia

L’inconfondibile voce di Giovanni Fontana nel suo nuovo libro, presentato lo scorso 20 febbraio a Roma

L’inconfondibile voce di Giovanni Fontana torna nel suo nuovo libro Questioni di scarti, presentato il 20 febbraio presso la libreria Pagine e caffè di Roma.

Esempio perfetto di poliartista – poeta, performer, architetto, scrittore di testi teatrali, scenografo, musicista, autore di scritture visuali, di fonografie e videografie – Fontana realizza un testo complesso e intrinsecamente politico.

Il tema-metodo portante di Fontana, nota il poeta, saggista e ricercatore di Letteratura italiana contemporanea Tommaso Pomilio, è la polidimensionalità data da elementi che non si sommano meramente ma cooperano in una struttura sinestetica aperta, capace di condurre a effetti multipli e a una stratificazione sonora e visiva di grande impatto.

Questioni di scarti infatti recupera e tiene viva la tradizione verbo-visiva – sottolinea Giorgio Patrizi, saggista e docente di Letteratura italiana – in particolare nella seconda sezione dell’opera dove, osserva Pomilio,  gli scarti del titolo costituiscono il materiale che contribuisce in senso collagistico alla costruzione dell’immagine-testo della scrittura-voce di Fontana.

Tuttavia, proprio in virtù della polidimensionalità di cui si è detto, il tema della scarto non è solo istanza poetica ma anche e soprattutto politica: “il discorso sulla discarica, sulla rovina, sulla polluzione, ha un profondo valore ideologico in quanto rappresenta e racconta il mondo in cui viviamo”, dichiara Patrizi, che sottolinea il carattere profondamente militante dell’opera di Fontana – al punto da considerare “quasi un miracolo” che un editore – Polìmata in questo caso – abbia pubblicato oggi un testo così intelligente e rischioso: “Questione di scarti è un libro esplosivo;  ci ricorda che viviamo in un mondo che ci sta riducendo a liquame e scarto”.

Un’opera dunque multi-prospettica in cui la polivalenza del titolo (“questioni” come temi e domande, “scarti” come racconti e raccolta) è rafforzata dall’immagine di copertina disegnata dallo stesso Fontana che, osserva ancora Patrizi, rappresenta al contempo un qualcosa di gettato per sporcare il bianco, un’esplosione, un elemento vitale.

Fontana si serve della lassa – strofa tipica medievale – per creare prospettive impossibili oltre-lo-spazio: le lasse sembrano venire da ogni dove – afferma Pomilio – in virtù di una prosa attenta che giustappone le molteplici materie usate, inseguite, evocate.

Questo ipertesto sonoro multipoetico si dissimula in una sintassi prettamente prosastica caratterizzata da periodi brevi e stringhe iterative che si traducono – osserva ancora il poeta avezzanese – in una sorta di scrittura percussiva dotata di grande potenza espressiva e di un impatto fonico netto.

La prosa apparentemente assoluta adoperata da Fontana, che non ammette virgole ma “solo il punto che arresta e riapre”, si traduce in elencazione non intermittente ma fortemente dialettica; ne consegue “una sorta di atomizzazione del discorso, di microcellule testuali, periodi rappresi ed esplosivi”

Tuttavia, nota Patrizi, il testo recupera la sua linearità discorsiva pur nella frammentazione della parola che ci presenta. Difatti le voci in gioco sono in realtà la stessa voce, o meglio: la plurivocalità rappresenta la pluralità di condizioni di un’unica voce. Ne deriva così, aggiunge Pomilio, una “struttura quasi responsoriale, una sorta di dialogicità assertiva tra una totalità di voci che si inseguono”.

La pluralità in questione, sottolineano i due studiosi, è ben diversa dalla multimedialità, termine ormai svuotato e abusato, in quanto nel testo di Fontana vi è una  dialettica conflittuale che si contrappone nettamente al codice unico, alla semplice  fruizione neutra: Questione di scarti impegna in primo luogo l’autore ma soprattutto co/stringe dialetticamente l’ascoltatore in un corpo a corpo col testo sinenstetico che ne distingua i possibili sensi.

La voce ammonitoria di Fontana, astratta e concreta insieme, si dimostra dunque capace di scavare di continuo nella materia, nel pattume, negli scarti in-smaltibili del nostro presente, mettendoli in luce e trasformandoli in possibilità espressive.

In questo epos terminale senza eroi né personaggi si delinea una scrittura icastica, lirica – soprattutto nella terza fase della sua espressione -, che non moralizza ma mostra in modo esplicito e doloroso che, alfine, “i rifiuti sono corpi nostri”, guaste e dissipate propaggini di “noi rifiuti urbani”.



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