Cinema

Post Tenebras Lux

Cristina Lucarelli

Una fugace visita nelle sale italiane per il vittorioso Carlos Reygadas, vincitore del premio alla Palma d’Oro per la Miglior Regia, premio sventolato ai quattro venti come una penna per sottolineare la sua forte ricerca stilistica.

Con stampato su, a caratteri cubitali, “Palma D’Oro per la regia a Cannes 2012”, il messicano Carlos Reygadas mi porge il suo biglietto da visita e strizza maliziosamente l’occhio; mi sfida, io raccolgo l’invito e con il biglietto stretto nella mano tremante mi inoltro nelle tenebre della sala, affondo nell’oscurità rilassante e allo stesso tempo inquietante dell’ambiente e anelo alla luce che (forse) verrà. Ma questa luce esiste realmente? Ancora non ne sono certa, ma perlomeno il combattimento ludico delle apparenze è stato quanto mai interessante. Si, perché Post Tenebras Lux è una storia sceneggiata (dallo stesso regista) in caduta libera, una storia che desidera l’impegno di chi la guarda, ma che spesso annaspa in un denso oceano di simbolismi, composizioni pittoriche, incongruenze che alludono ad una certa ricerca della disonestà.

Juan (Adolfo Jiménez Castro) e famiglia hanno lasciato Città del Messico, si sono trasferiti in campagna, e qui scopriranno un mondo manicheo, diviso tra quei benefici e quelle sofferenze che solo la Natura sa “donare” così potentemente. Nonostante ciò, queste due realtà convivono, senza sapere però se effettivamente si completano o si detestano e lottano tra loro. Il tutto contornato dalla presenza di diavoli rossi in forma caprina con tanto di valigetta degli attrezzi, lampi nel fango, partite di rugby, orge, litigi in famiglia e auto decapitazioni.

Reygadas spinge il piede sull’acceleratore tra virtuosismi registici e manipolazione massacrante del visivo, incornicia le inquadrature con una scelta inspiegabile ma che a conti fatti pare davvero indovinata: Post Tenebras Lux è infatti girato in un arcaico formato 4:3, con le porzioni laterali del quadro spesso deformate da un effetto prisma. Tra fuori fuoco, doppie immagini, un senso del gusto curioso e accattivante, si innesta però l’horror vacui: assenza dell’esistenza stessa, per un plot quasi dadaista, dai dialoghi scarni e poco curati. Una pellicola che si sviluppa tra variegate suggestioni, senza senso né luogo, fibrillazioni deformate in una prospettica allarmante che poi collassa su se stessa: nella non presenza di altro, nella non presenza di un’altra strada percorribile, implode. Ma lascia il segno. Come ho affermato in apertura non so se è effettivamente possibile illuminare ogni cosa dopo il passaggio nelle tenebre, ma forse si può avere l’illusione che sia così. Un’illusione terribilmente minacciosa. 


Dettagli

  • Titolo originale: Id.
  • Regia: Carlos Reygadas
  • Fotografia: Alexis Zabé
  • Musiche: /
  • Cast: Adolfo Jiménez Castro, Nathalia Acevedo
  • Sceneggiatura: Carlos Reygadas

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