Arti Performative

Pippo Delbono – Orchidee

Renata Savo

Bello ma finto, come un’orchidea di plastica, lo spettacolo di Pippo Delbono andato in scena al Teatro Argentina

L’orchidea è quel fiore che se lo metti vicino a un’orchidea di plastica non distingui l’orchidea vera da quella finta. Dopo aver visto Orchidee, io non riesco più a distinguere il Delbono vero da quello finto. Può essere una giustificazione la sua difficoltà, come la chiama, a separare la sfera privata da quella pubblica, la vita dal teatro?

Vediamo e ascoltiamo davvero di tutto in questo spettacolo: la riflessione meta-teatrale che prende in giro gli abbonati (“Questo spettacolo l’avete scelto voi, o ve l’hanno scelto?”; “Non ci si può mica abbonare alla vita?”); le proiezioni video che documentano lo “schifo” di questo mondo, rappresentato dall’omofobia e dalla “pornopolitica”; e poi i ricordi del regista, che scivolano dalla poesia alla memoria, dal teatro alla vita. La casa in cui ha vissuto l’infanzia, per esempio, diventa il suo giardino dei ciliegi

La carne, l’amore, la morte, il ricordo di Pina Bausch, il mito, il bello e il brutto, la grazia e il kitsch, la fede, la poesia. C’è tutto, in questo spettacolo. Forse c’è troppo. I momenti più eloquenti dal punto di vista teatrale ce li ha regalati Gianluca Ballaré, il ragazzo affetto da sindrome di Down che Delbono, come Bobò, ha trasformato in un attore: lo abbiamo visto cantare in playback con una sincronia eccellente, gestire superbamente la parte dell’imperatore Nerone nell’omonimo dramma musicale di Pietro Mascagni, di cui Mussolini vietò la rappresentazione.

Non si può dire certo che sia un brutto spettacolo. E’ uno spettacolo bello, Orchidee. Bello ma disonesto. Keats diceva “La bellezza è verità, la verità è bellezza”. Se non avessi visto altri spettacoli di Pippo Delbono, i suoi film (il merito va senz’altro anche alla rassegna filmica che si è svolta in contemporanea al debutto romano), avrei sicuramente detto che proprio per la sua vividezza, per la sua (apparente) sincerità, Orchidee è uno degli spettacoli più belli che io abbia mai visto. Ma non è così, purtroppo, anzi. A tratti diventa addirittura irritante.

Non dev’essere facile per un uomo parlare in pubblico di una madre, mostrare la sua morte ripresa al cellulare. Sua madre l’abbiamo vista morire in Sangue, ne abbiamo sentito parlare e l’abbiamo incontrata tante volte. Una madre muore una sola volta nella vita: siamo d’accordo sul fatto che potrebbe essere l’evento più tragico della vita di un individuo, figuriamoci per un artista dotato di una sensibilità oltremisura. Ma è disonesto. E’ disonesto ripetersi così spudoratamente. Un artista, un poeta, un regista, dovrebbe fare i conti con le proprie ispirazioni. Non si tratta solo del ricordo della madre che “diceva i fatti della famiglia al macellaio” (Amore Carne) o delle immagini scioccanti di Sangue. Anche la forma del linguaggio in alcuni punti è rimasta identica ai lavori del passato (eppure io non ho avuto la fortuna di vederne molti). Tutto quello che ascoltiamo, per lo più, riempie una vagonata di luoghi comuni, e quello che vediamo non è nulla di cui Delbono non ci abbia già reso partecipi: la corsa in cerchio sulla musica travolgente che accompagna il climax della sua voce (qui sentiamo Struggle for Pleasure di Wim Mertens, in Dopo la battaglia, se non ricordo male, c’era Alexander Balanescu); il “Vorrei essere come Bobò, quest’uomo che ha passato cinquant’anni in un manicomio…” (praticamente ovunque); i manichini del film La paura; lui che sale sul palco e si dimena come una Baccante. E poi tanta, troppa, retorica: “Il mondo creato dall’artista è quello in cui vorrebbero vivere, un mondo più reale”; “Per distinguere il vero dal falso bisogna conoscersi dentro”, tanto per fare qualche esempio.

“Fammi essere più madre di una madre nel mio amore per il bambino che non sia carne della mia carne”, Pippo Delbono cita il premio Nobel Gabriela Mistral. Ecco, è come se egli incarnasse una voce paterna, premurosa ma pedante, che ripete al figlio lo stesso copione, come faceva sua madre con lui (come ci ha mostrato in Amore Carne). Lo fa con la poesia, perché è un artista. Ma invece della superbia dell’artista, dovrebbe recuperare l’umiltà del bambino. “Questa vita di plastica ti ucciderà, bambino”. Allo stesso modo, questo teatro di plastica, bello ma finto come l’orchidea fasulla, sbiadisce il ricordo dell’autentico artista, Pippo Delbono, nelle cui espressioni abbiamo sempre cercato la verità, e un rifugio.

 


Dettagli

  • Titolo originale: Orchidee

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