Arti Performative FOG

Philippe Quesne // L’effet de Serge

Maria Ponticelli

Strappa più di una risata L’Effect de Serge, lo spettacolo di Philippe Quesne, presentato all’interno di FOG, il festival di teatro contemporaneo della Triennale delle Arti di Milano di cui Scene Contemporanee si sta occupando da un po’. Quesne, direttore del teatro Nanterre-Amandiers centre dramatique national e fondatore della compagnia Vivarium Studio, è uno dei più apprezzati artisti del teatro contemporaneo internazionale ed arriva per la prima volta a Milano proprio in occasione del festival, regalando al pubblico una deliziosa messinscena.

A primo impatto L’effect de Serge potrebbe essere assimilata ad una sit-com teatrale, tanta è l’ilarità di cui è condita la drammaturgia, ma in realtà essa rivela una più profonda ricerca di senso che risiede nell’avvicendarsi delle situazioni quotidiane, nell’apparente banalità dei gesti intorpiditi dall’abitudine, nella preziosità della condivisione ed infine nella sensazione di stupore che è possibile riscoprire dinanzi a tanto. Una colonna di fumo e delle luci fluorescenti che spiccano nel buio della sala, introducono la comparsa di Serge che in maniera giocosa presenta la sua propria performance passando in rassegna tutti gli allestimenti e gli oggetti di scena (persino i sottotitoli dal francese!) in un’atmosfera al limite tra realtà e finzione.

La scena si presenta proponendo al pubblico l’interno di una casa con un arredo ricreato in maniera fedele alla personalità del protagonista. Uomo mite e solitario, Serge è immerso nella dimensione del tempo che scorre e nei meandri della sua fantasia, a tratti naif, ma sempre delicata, quasi al limite con la purezza. Tutte le domeniche egli ospita alcuni amici nella sua casa e dedica loro delle brevi performance di pochi minuti realizzate con mezzi rudimentali e che lasciano comprensibilmente perplessi i visitatori che si avvicendano nel suo appartamento. A separare il suo mondo da quello esteriore, fatto di concretezza e disincanto, c’è una porta-finestra dalla quale Serge lascia entrare i suoi ospiti, almeno fino a quando, senza apparente motivo, non chiede loro di entrare dall’ingresso principale della casa. Ad uno ad uno gli amici di Serge assistono alle sue performance che consistono in nient’altro che semplici effetti di scena come vuole il titolo stesso della rappresentazione. Gli effetti rappresentati vengono ricreati con banali mezzi di uso quotidiano, come un’automobile telecomandata che, con una stella filante fissata sull’estremità, gira intorno allo spettatore nel tentativo di accompagnare in maniera più o meno sincronizzata un pezzo di musica classica o, ancora, Serge tenta di ricreare un gioco di luci semplicemente accendendo e spegnendo i fari dell’auto di un amico sulle note de “La cavalcata delle Valchirie”. Domenica dopo domenica, in un’ attesa che diventa sempre più breve, Serge ripropone l’invito agli amici per successive performance che promette sempre diverse, e, nonostante l’espressione attonita che ne trapela, nessuno dei suoi ospiti rifiuta di ripresentarsi, anzi, quanto risulta agli occhi del pubblico è proprio una delicata scena di accoglienza della stranezza o del candore del protagonista da parte degli altri. Terminate le sue esibizioni, Serge accompagna all’uscita i suoi amici quasi in maniera frettolosa come a voler focalizzare l’attenzione sulle sue piccole messe in scena senza dedicare spazio ad ulteriori convenevoli di rito.

L’atmosfera è quella che si ritrova in una qualsiasi serata tra amici ma l’intenzione dell’artista sembra essere quella di volersi fermare a riflettere intorno alla salienza delle piccole cose che si perdono nella velocità quotidiana, una pausa metacognitiva sull’essenza delle stesse e sulla necessità di condividerle pur nel loro essere scontate. Il tutto però è proposto in una veste leggera e  piacevole da seguire. Se Quesne voglia fare il verso ad un atteggiamento eccessivamente serioso, a tratti trascendente, di cui l’arte contemporanea è talvolta “colpevole” questo non è chiaro. Sta di fatto che in battute come “(…) mi cambio di abito per lasciare intendere che il tempo è già passato e siamo ad un’altra domenica” egli abbatte le quinte di palcoscenico rendendo palesi tutti i meccanismi che sottendono alla realizzazione dello spettacolo e muovendosi proprio in una zona di confine tra la realtà e la rappresentazione di essa. L’epilogo dello spettacolo, così come l’inizio, viene legato ad un altro appuntamento, un invito che Serge, prima di abbandonare la scena, rivolge al pubblico per una successiva rappresentazione.

L’effect de Serge diverte ed incanta gli spettatori seduti in platea il cui sguardo a fine rappresentazione non è quello accigliato di chi ancora cerca di metabolizzare quanto ha visto ma si distende dietro il sorriso che accoglie con favore la meraviglia delle piccole cose.



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