Musica Nuove Uscite

Arto Lindsay – Cuidado Madame

Maria Ponticelli

Chi conosce Arto Lindsay e la sua musica tende generalmente ad operare una distinzione tra il psichedelico-noise Lindsay e quello spensierato delle sonorità brasiliane. D’altra parte l’artista stesso pare abbia contribuito ad alimentare questa visione dualista con la pubblicazione di “Encyclopedia of Arto”, una raccolta di tracce che testimoniano la coesistenza di queste due anime in apparente contrapposizione, ma in grado di fondersi in un tutt’uno nell’ascolto dell’ultimo disco, dal titolo Cuidado Madame.

Potremmo partire proprio dal titolo dato all’album per prendere in esame l’intera produzione, Cuidado Madame è una pellicola di Julio Bressane degli anni 70 girata in Brasile che racconta in poco più di un’ora un thriller sanguinolento che vede protagonista una domestica che – in segno di liberazione dalla schiavitù – ammazza una ad una le padrone presso cui presta servizio. Allo stesso modo quindi si potrebbe dire che Arto Lindsay (profondo conoscitore e appassionato della samba, la bossanova ed in generale delle sonorità calde del Sud America) abbia inteso convogliare in un unico disco la parte scura fatta di distorsioni elettroniche e chitarre noise con quella più distesa delle sonorità brasiliane, mixandole in una serie di brani dove non mancano, a far da collante, anche interferenze jazz camuffate dal trip hop, funk, soul ma anche melodiche.

Un disco, più dischi quindi; un caleidoscopio di suoni che genera un fenomeno visivo di colori a tinte carioca, quasi un esperienza psichedelica se non fosse proprio per le commistioni melodiche che fanno da cornice a tutto l’album e riportano l’ascoltatore coi piedi per terra. Non a caso l’artista piazza a metà album Seu Pai, una bossa nova nostalgica che riequilibra l’atmosfera dai suoni distorti delle precedenti sei tracce e che solo sul finale lascia percepire appena echi lontani di chitarre stridenti.

La parentesi melodica spennellata di saudade però dura appena quattro minuti, la traccia che segue infatti è emblematica. Si tratta di Arto vs. Arto: due minuti e dodici di suoni “difettati” che in musica possono essere sintetizzati sotto la dicitura “glitch”, un insieme di errori volutamente creati attraverso le apparecchiature digitali ma che in questo caso non mancano di farsi accompagnare dalle distorsioni di una chitarra in grado di creare un contesto esplicitamente atonale. Sulla stessa scia si collocano Uncrossed – che si cala però in un contesto più melodico – e Unpair, in cui la differenza viene delineata da una prima parte in cui la presenza della voce delicata di Arto e di un organo, che di tanto in tanto interferisce con la sezione ritmica, confluiscono sul finire del pezzo in un corto circuito fatto di chitarra sovrapposta ad una batteria che pare isolata dal contesto e da un fondo noise da televisore guasto. La redenzione arriva di nuovo con Pele de Perto in cui un piano jazz sembra voler accompagnare  l’ascoltatore nel totale oblìo delle tracce precedenti e il breve inciso cantato da Lindsay ricorda il retrogusto del disco fatto di saudade e melodia.

Confusione o commistione, suoni detti tra i denti e rumori esplicitati; il nuovo disco di Arto Lindsay è un’esperienza complessa che richiede fiducia a chi lo ascolta da tempo ed abbandono a chi per la prima volta si avvicina alla produzione di un artista eclettico che, in quest’ultimo disco, ha avuto l’audacia di accostare i ritmi esotici dei tamburi che accompagnano i riti della religione brasiliana “Candomblè” e le sonorità, talvolta rumori, dell’elettronica concentrando il tutto in una performance di sperimentazioni ben riuscite.

Nulla di scontato ne’ di atteso il disco di Arto Lindsay pur nelle sue apparenti contraddizioni sbaraglia pregiudizi e aspettative. Cuidado!



Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti