Libri

Vetrina. “Guarigione”

Roberta Iadevaia

Guarigione di Cristiano de Majo: romanzo-manifesto di una generazione (mai cresciuta) che ha fallito.

 

L’umorismo nero deve gran parte della sua forza all’ambiguità: scrittori come Swift e de Sade sono stati terribili cinici o piuttosto intransigenti moralizzatori? Una simile ambiguità la si riscontra in Guarigione (Ponte alle Grazie), secondo romanzo di Cristiano de Majo, in cui non appare chiaro se l’autore – articolista di libri e letteratura per Studio, la Repubblica e IL – voglia denunciare o se faccia egli stesso parte di quella generazione che così descrive: “ed eccoci qui, uomini e donne tra i trenta e i quarant’anni, quasi tutti con lavori inventati o immaginati, artisti e intellettuali troppo affini al consumo di sostanze, dipendenti da qualcosa/qualcuno, intrappolati in anguste coazioni a ripetere, cultori della malinconia inconfessabilmente attratti dal successo, vittime di pulsioni all’onnipotenza con postumi di utopie politiche”.

Autobiografico o meno, lo scrittore napoletano classe 1975 è riuscito a trasmettere ottimamente le caratteristiche di tale generazione: il racconto dei primi tre anni di vita di due gemelli – uno dei quali affetto da epidermolisi bollosa – e dunque tematiche complesse quali la paternità e la malattia, ma anche il precariato, il senso di identità e di appartenenza a una città, sono affrontate nel romanzo con una superficialità e una mancanza di talento letterario davvero notevoli. Le continue digressioni – in cui vengono esaminati con la stessa minuzia saggi e guide turistiche, teorie ufologiche e i metodi migliori per allevare neonati – appesantiscono la lettura fino a renderla poco spontanea. “Sembrava riguardarmi come una storia che avevo letto da qualche parte”, afferma a un certo punto il narratore. Appunto.

L’intero romanzo appare quindi solo un goffo tentativo di “fare letteratura” figlio dell’epoca dei reality per scrittori, di corsi di scrittura tanto costosi quanto (solitamente) inutili e di individui propensi a trasfigurare la loro stessa esistenza in romanzi scritti da altri. Il risultato è, purtroppo, scoraggiante, soprattutto quando il protagonista – in un eccesso di pathos – fantastica di vivere a Los Angeles piuttosto che a San Francisco “forse con l’esplicita intenzione di ribaltare il luogo comune che raffigura la seconda come la città americana ideale per il turista europeo e la prima come un’illogica folle urbanizzazione senza centro”. Leggere Guarigione, da questo punto di vista, si rivela allora utile per identificare quell’intera generazione di figli oggi divenuti genitori – pur non essendo mai cresciuti – e artisti – pur non avendo assolutamente nulla da dire o da dare.


  • Genere: Romanzo autobiografico

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