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Libri Come – L’Europa e i suoi scrittori

Roberta Iadevaia

A Libri Come, ombre e luci sulla maratona L’Europa e i suoi scrittori, con gli interventi di Dunnie, Jergović, Velikić, Rönkä, Timm e Westerman coordinati da Andrea Bajani

Come appare l’Europa agli occhi di uno scrittore? Questo l’interrogativo alla base della maratona promossa da Libri Come tenutasi sabato 16 marzo, che ha visto la partecipazione di sei illustri scrittori provenienti da differenti Paesi europei a cui è stato chiesto di esprimere il loro punto di vista proprio riguardo al tema principale della Festa del Libro: l’Europa. Questa esigenza, spiega il moderatore Andrea Bajani, è nata dalla costatazione che per molti oggi l’Europa rappresenti un’entità astratta spesso unicamente associata agli ambiti della politica e dell’economia e ingiustamente confinata a definizioni prettamente territoriali, quando invece – sottolinea il giornalista e scrittore – la sua cultura significa molto di più. Tale affermazione è confermata dagli interventi dei tanti ospiti presenti che, ciascuno nella propria lingua, hanno condiviso opinioni, esperienze e testimonianze anche molto diverse tra loro.

Lo scrittore olandese Frank Westerman, ad esempio, ha raccontato le sue avventure di ragazzo che lo hanno portato, attraverso viaggi in treno e camping con gli amici, a riempire gradualmente di significato la parola “Europa”. Da queste esperienze l’autore di  Pura razza bianca afferma di aver imparato che il “couch surfing  (programma che permette di contattare persone di tutto il mondo che offrono sistemazioni temporanee come letti o divani) può fare più della politica”, e che solo l’amore può dare un senso al termine Europa. Completamente diverso il tono usato dal finlandese Matti Rönkä, autore di Fratello buono fratello cattivo, il quale ha riassunto con voce seriosa e malinconica la storia della sua terra, le sue contraddizioni e le sue caratteristiche, dichiarando di sentirsi prima di tutto finlandese, poi nordico e poi vagamente legato a dei valori europei. Il giornalista si è dichiarato inoltre scettico nei riguardi dell’Unione Europea eccetto per ciò che riguarda le responsabilità di mantenimento della pace dell’istituzione. Molto critico anche lo scrittore Uwe Timm, per il quale l’ampliamento dell’Ue oggi si basa esclusivamente su questioni economiche quando invece andrebbe ricordato che “il capitale è volatile e mira allo scontro e alla bancarotta degli stati”. L’autore tedesco ha osservato come la crisi abbia messo in luce i “meccanismi perversi del sistema finanziario” e fatto riemergere antiche debolezze e vecchi stereotipi, conducendo i popoli a fiammate nazionaliste e regressioni autarchiche che vanno respinte con forza. Tra le cose da fare, secondo lo scrittore, vi sono l’incremento degli scambi, sempre più spesso ridotti al semplice turismo, la conversione in sovranazionali di tutte quelle organizzazioni che tutelano il lavoro e il ceto medio e soprattutto la conservazione delle differenze linguistiche, minacciate da “quell’inglese incomprensibile parlato da tutti”, così distante dalla “meraviglia che deriva dall’accogliere un’altra lingua, il suo suono e il suo ritmo, anche se non la si capisce”.

Il tema della varietà linguistica è sicuramente molto sentito dai presenti: Bajani a tal proposito ha citato Film parlato di De Olivera – in cui tutti gli attori parlano appunto la propria lingua – per sottolineare che proprio dalla conservazione e dalla offerta del patrimonio linguistico, che sono ben diverse dalla sua difesa, potrà nascere qualcosa di più grande. Dello stesso avviso Milijenko Jergović, per il quale “non abbiamo né dobbiamo avere la stessa lingua” e l’Ue dovrebbe servire proprio a “capirsi anche senza la stessa identità linguistica”. Lo scrittore, nato a Sarajevo, ha  d’altronde dichiarato di non essere interessato all’Ue ma all’identità culturale: “è sbagliato e pericoloso identificare l’Europa con l’Unione Europea; la seconda è solo un’istituzione, molto più piccola della prima e molto meno importante, mentre la prima non è quella dell’industria pesante e del commercio ma è esperienza comune, è la memoria comune”. Tesi condivisa dallo scrittore Fragan Velikić, originario di  Belgrado e dunque anch’egli  politicamente fuori dai confini europei, che ha osservato come “la scrittura non ha identità se non quella culturale: lo scrittore ha un terzo genitore che è la letteratura su cui si è formato e una casa simile a quella della lumaca”.

Le fasi conclusive della lunga maratona hanno poi assunto, con Catherine Dunnie, toni diversi, di denuncia e preoccupazione. L’autrice irlandese ha difatti dichiarato che l’Europa è sempre stata qualcosa di remoto per il suo popolo, da sempre troppo impegnato a gestire i suoi problemi interni, tra tutti la povertà e l’emigrazione (tema analizzato dalla scrittrice nel suo libro La metà di niente). “Per gli irlandesi purtroppo il sogno europeo non si è avverato”, ha annunciato tristemente l’autrice, e lo hanno dimostrato le parole con cui i suoi conterranei hanno risposto alla domanda di cosa significasse per loro l’Europa: debito, emigrazione, povertà e mancanza di uguaglianza tra i sessi; problematiche importanti che, insieme agli sguardi pensosi degli ospiti in sala, gettano ombre pesanti su una questione, come quella europea, che sembra ancora lontana dal risolversi. Eppure non manca, in quegli stessi occhi, una luce di speranza, perché forse tra le pagine dei grandi scrittori esiste già quel mondo che convenzionalmente chiamiamo Europa. Basta solo vederlo. E volerlo.



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