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“Lettere dalla notte” di Chiara Guidi: il coro, la città, la poesia della voce

Andrea Zangari

Luce bassa su un leggio, fruscio di fondo, i suoni glaciali di un vibrafono sulla scena. Una voce registrata in tedesco porta l’attenzione fuori. Poi entra Chiara Guidi: nello spazio attraversato dalla sua voce resta sempre sospeso un disegno, un intrico di tratti neri più o meno spessi, e campi, ora larghi ora stretti, di bianco accecante. Sia come sia, un labirinto, una città, un’architettura. Un modulare di pieni e vuoti. Un’incisione nell’ascolto. Ogni spettatore può riportarsi a casa questa traccia estetica, un distillato della rappresentazione che ricade a pochi palmi dal rappresentabile, appena oltre il bordo di quel regno silenzioso e buio che l’artista della Societas va esplorando da anni. Così è stato anche in occasione della chiusura stagionale al Teatro Biblioteca Quarticciolo, nella sala gremita in religioso ascolto per Lettere dalla notte, lettura di poesie e carteggi della scrittrice Premio Nobel Nelly Sachs. Una selezione che passa dai celebri Cori de Nelle dimore della morte (1947), agli scambi epistolari con Paul Celan.

Non v’è dubbio che la poesia dell’autrice berlinese di famiglia ebrea, rifugiata a Stoccolma nel 1939 sull’orlo della deportazione, sia di richiamo civile attualissimo, in tempi di revivalismi politici (più o meno comici, ma sempre tragici) e smemoratezza collettiva. Eppure, come per ogni lavoro della Guidi, non v’è mai un retorico indicare vie di salvezza, nemmeno c’è alcun indicare, forse neppure, una via. Nel variegato paesaggio del teatro come atto politico, il lavoro della Guidi è un altipiano buono per la requiescenza, per l’apertura totale all’ascolto della voce, imperturbata dalla sua costante ombra logico-razionale dei significati. E così non c’è da dire alcuno sconforto per l’Olocausto: dirlo, in ogni caso, non sarebbe mai valso un briciolo dell’orrore della cosa in sé, come una vasta teoria di autori ha rilevato. E neppure sarebbe molto utile oggi, a distanza generazionale, ormai, di “sicurezza”, ovvero d’insicurezza totale, da quegli anni di scempio. D’altro canto, il lavoro della Societas e della Guidi in particolare è da sempre proteso alla sottrazione, al portare verso la periferia dalla visione lavorando sul cataplasma vocalico che occupa lo spazio tra attore e spettatore. Un indirizzo di ricerca secondo cui la presentificazione del soggetto (in tal caso il dolore della Shoah) è impossibile in quanto atto di volontaria rappresentazione, inducendo piuttosto a lavorare nel versante a-teologico dell’arte scenica. Ciò che è presente, invece, è un lavoro radicale sul dolore vivo, contemporaneo, immanente dei versi di Nelly Sachs; un lavoro condiviso a monte con un “coro cittadino” di volontari che compartecipano al tappeto sonoro dello spettacolo dopo un laboratorio di tre giorni, come per ogni messa in scena delle Lettere.

“Lettere dalla notte”, Chiara Guidi. Foto di Simona Barducci

Traspare dall’esperienza laboratoriale l’impegno a introiettare le parole della poetessa tedesca nel tentativo di compaginare coralità e coreografia, ovvero di rintracciare un gesto nella\della parola. Sulla scorta della ricca pedagogia teatrale in cui Chiara Guidi si profonde da tempo, immaginiamo l’entusiastico “scoprirsi” delle voci dei volontari, l’emozione ad ogni apertura vocalica innaturale ma indefinitamente suggestiva, all’insistere su un gorgoglìo, al potente allinearsi dei suoni con un paesaggio di segni nascosti nel testo. Insomma, all’emersione prodigiosa di quel grande Autre che è il linguaggio stesso e che, lacanianamente, consta di un corpo che può occupare la sala. Per questo dell’altissima lingua poetica della Sachs si sottolinea sempre il carattere unheimlich, l’enigmatico, lo stralunato. Tutto quanto non verte, cioè, sulla parafrasi, o sul commento in quanto appendice, insulso gravame sulla sufficienza del verso “performato” che non rimanda ad altro che a se stesso. Chiara Guidi assale la carne reale della parola, e in questi morsi senza sanguinamento ciò che si gusta è la radice stessa della cultura occidentale nel suo innesto di grecità e di ebraismo. Le Sacre Scritture sono state spesso compulsate dalla Societas, ma sono anche una fonte primaria delle immagini poetiche dei testi di Sachs. Cui interessava, più di altre, la tradizione mistica dell’ebraismo: «Dal popolo al quale appartengo mi è venuta in aiuto la mistica chassidica, che, così come avviene per ogni altro genere di mistica, deve riportare ogni volta la propria dimora nelle doglie del parto, lontano da dogmi e istituzioni».

Nulla di più consonante al lavoro di Chiara Guidi, segnato da un costante rivolgimento all’origine delle parole, indagate con esercizio pratico nel loro particellare costituirsi estetico: come se nel loro riverbero si potesse udire la frequenza di un big bang. Una nota primordiale che percorre carsicamente l’intera metrica dello spettacolo, imprigionata nei suoni fuori campo di Andrea Scardovi e nel vibrafono di Nàtan Santiago Lazala: il passaggio dell’archetto sulle piastre dell’insolito strumento rimanda direttamente ai tendini suonati dalla morte come un violino, immagine tratta dall’infernale Danse macabre che apre il Coro dei salvati.  «Noi salvati \ dalle nostre ossa vuote la morte ha già intagliato i suoi flauti, \ sui nostri tendini ha già passato il suo archetto» canta il coro cittadino a voci alternate maschili e femminili, mirabilmente affiatato a fronte dei tutto sommato pochi giorni di lavoro a monte. L’esercizio collettivo non è, però meramente vocale. La partitura annovera una liturgia gestuale laconica ma potente, in cui ogni sguardo, ogni respiro si arricchisce del silenzio che l’introduce o lo segue. Di più, come detto, scompare la cesura fra la parola come suono e il gesto. D’altro canto, nel teatro greco (ecco l’altro innesto della cultura occidentale) il choros fu in primis il nome di una danza, anzi della più sacra delle danze: di quella liturgia collettiva che presiedeva alla fondazione della città e che mitologicamente si fa risalire a Dedalo.

 

[Immagine di copertina: foto di Nicolò Gialain]

LETTERA DALLA NOTTE

liberamente tratto dai testi di Nelly Sachs

con Chiara Guidi e un coro cittadino

musica eseguita dal vivo dall’autore Natàn Santiago Lazala

cura del suono Andrea Scardovi

traduzione Anna Ruchat

cura Stefania Lora, Elena de Pascale

produzione Societas in collaborazione con Elena di Gioia/Liberty



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