Cinema Il cine-occhio

Kaijillionaire

Stefano Valva

In gergo anglosassone, Kajillionaire sta ad indicare qualcuno di immensamente benestante, di importante e influente all’interno di una società post-capitalistica. Approcciandosi ai personaggi del terzo lungometraggio della regista Miranda July – dal titolo proprio Kajillionaire – si arriva subito alla conclusione che tale epiteto non è uno status per essi, bensì è un obiettivo, un sogno recondito per una famiglia scalmanata, dedita alle truffe e alla vita da classici bohemien. 

Questa è la storia in primis di una 26enne atipica, ossia Old Dolio (interpretata da una sontuosa Evan Rachel Wood, la star della serie HBO Westworld), la quale insieme ai genitori ex-hippie, si dà agli imbrogli, alla rivendita, alle occasioni futili e quotidiane, pur di migliorare la rispettiva condizione economica. Come sempre all’interno di un contesto negativo eppure stabile, c’è bisogno di qualcuno che crei uno squilibrio, che ponga un ragionevole dubbio – per dirla in termini giuridici – per smuovere le coscienze, così da mettere sull’ago della bilancia la propria condizione, in sintesi l’esistenza. La variabile veste i panni del personaggio interpretato da Gina Rodriguez, la quale inizialmente è affascinata dagli affari loschi della stramba famiglia, poi pian piano si interessa fisiologicamente alle sorti di Old Dolio, per salvarla da una situazione sterile e oggettivamente da un contesto amorfo. 

L’irruzione di un personaggio nella triade, smuove un plot inizialmente contorto e abbastanza piatto, permeato dalle trovate impulsive e ben poco geniali da parte del trittico, per fare soldi ed arrivare finalmente ad uno status appagante. Il rapporto genitori – figlia è annullato, madre e padre sembrano più dei compagni di disavventure, dei complici che si dividono equamente il bottino di turno, mettendo in toto da parte sentimentalismi, rapporti umani e logica dello stare insieme. Old Dolio non è una figlia, bensì è un’arma, un oggetto da utilizzare per gli scopi di lucro, e ciò diviene un’imposizione che a lei peserà, man mano che noterà attraverso la co-protagonista sia l’importanza delle relazioni – da quelle più quotidiane, a quelle più periodiche – sia la scoperta del proprio essere: dalla sfera emotivo/caratteriale, a quella sessuale/sentimentale. 

Kajillionaire è un’opera ironica, irriverente, a tratti insensata su di un’America che sembra di un’epoca precedente, su di una classe sociale quasi inesistente nella contemporaneità, su di uno stile di vita anch’esso oggi a dir poco utopico, che d’altronde colpisce – in parte – proprio per la sua unicità, proprio per il suo essere fuori dal normale, e per l’essere consapevolmente decontestualizzato, in una società di massa puramente conformista. Eppure, Old Dolio vorrebbe tanto essere una figlia come altre, ossia amata e coccolata, istruita e consigliata, vigilata e rassicurata, quindi tout court una persona che non può fare a meno dei propri punti di riferimento, che non possono essere nient’altro che la famiglia, nient’altro che i genitori. 

La regista statunitense abbraccia il tema dell’esplorazione dell’io, che ultimamente ha sensibilizzato anche la serie We are who we are di Luca Guadagnino per esempio, ove una ricerca di sé stessi avviene – seppur all’inizio senza consapevolezza – grazie all’altro, grazie ad una sorta di mentore – per riprendere una delle figure presenti nell’ultimo film della Pixar, ossia Soul – che indichi attraverso la forza dell’amore e delle affezioni, la via per conoscere e per conoscersi, dando agio alle rispettive pulsioni, frenate e fossilizzate da un contesto esistenziale basato sull’imposizione, sul volere altrui. Perché è indubbio che in questo film i villain non possono essere che i genitori, ossia coloro i quali ostacolano il processo individualista da parte di Old Dolio, coloro che orchestrano la vita futile e impura di una ragazza che a 26 anni ancora non ha scoperto su nessun fronte una spiccata identità, sia di genere, sia di caratteristiche mnemoniche, sia sugli scopi. 

Che sia un film di natura indipendente, ergo che lo si voglia chiamare indie, hippie o anticonvenzionale non importa, altresì ciò è in primis palese, e lo si ritrova anche attraverso delle inquadrature ed una scenografia alterate dalla follia e dal non-ordinario: immagini-azione poco sensate e frutto del caso o dell’illogica; dialoghi privi di pathos tra i personaggi; incontri e scontri basati sulla casualità e sul fortuito. Tutte caratteristiche, che affascinano ma allo stesso tempo allontanano uno spettatore confuso e a tratti distaccato, il quale verrà ammaliato principalmente verso l’epilogo, caratterizzato dal whodunit di trama e da sequenze tra i personaggi più empatiche. 

L’opera della July come gli altri suoi lungometraggi, si distingue come commedia per la stranezza e non per la comicità, per l’interpretazione della singola protagonista e non per gag (Evan Rachel Wood riesce a raffigurare una ragazza trasandata, introversa, per nulla emotiva ed espressiva, con comportamenti quasi da maschio di strada, ed una personalità continuamente in formazione, alla scoperta di inclinazioni in superficie e in profondità), per la capacità di guadagnarsi man mano e non dall’incipit l’attenzione dello spettatore, seppur nel complesso non rimanga un’opera per pubblico e critica indimenticabile. 

Infine, si distingue per come affronta in maniera sfumata e poco dichiarativa la questione odierna della sessualità, soprattutto la più discussa ossia quella omosessuale, che solo in tempi moderni sta riuscendo ad esteriorizzarsi nei confronti di una cultura sociale sicuramente più progressiva, ma che ha lo stesso molta strada da fare, per accettare al meglio ogni diversità, e ogni sfaccettatura degli umani, con maturità e rispetto. Proprio rispetto è una parola decisiva, perché nel percorso tortuoso di Old Dolio, la sessualità ha per forza di cose un posto preminente – così come la mentalità, il carattere e le inclinazioni – ed esce nella maniera più naturale possibile, senza restrizioni o condizionamenti, senza consigli o paure, essa è e deve essere soltanto uno “sfogo” di una pulsione che è insita dentro di noi, e che solo un’intrinseca sensazione sa come razionalizzare verso l’esterno. Se all’inizio i Kajillionaire sono quelli che – prendendo ad esempio una sequenza topica del film – possono comprarsi una vasca con molteplici funzioni di idromassaggio, pian piano la protagonista noterà che la vera ricchezza sta nello scoprirsi, nell’amarsi e nell’amare, nel conoscere e nel conoscersi, nel condividere ed eticamente donare esperienze ed emozioni, a chi ha avuto il coraggio di farci uscire da un nido, da una comfort zone, che aveva più le sembianze di una cella.  


  • Diretto da: Miranda July
  • Prodotto da: Dede Gardner, Jeremy Kleiner, Youree Henley
  • Scritto da: Miranda July
  • Protagonisti: Evan Rachel Wood, Debra Winger, Gina Rodriguez, Richard Jenkins
  • Musiche di: Emile Mosseri
  • Fotografia di: Sebastian Winterø
  • Montato da: Jennifer Vecchiarello
  • Distribuito da: Focus Features (Stati Uniti), Universal Pictures (Italia)
  • Casa di Produzione: Plan B Entertainment, Annapurna Pictures
  • Data di uscita: 25/01/2020 (Sundance), 25/09/2020 (USA)
  • Durata: 106 minuti
  • Paese: Stati Uniti
  • Lingua: Inglese

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