Cinema

In Sala. 12 anni schiavo

Fausto Vernazzani

Il regista inglese Steve McQueen al suo terzo lungometraggio adatta per il grande schermo le memorie di Solomon Northup.

Un film quando imparagonabile ad altri prodotti lascia immancabilmente un segno nello spettatore. Il tema della schiavitù lo aveva sì portato sullo schermo Quentin Tarantino esattamente un anno fa, ma paragonare 12 anni schiavo a Django Unchained è come mettere a confronto Bastardi senza gloria con Il pianista.

Il regista Steve McQueen sin dall’inizio della sua carriera cinematografica ha posto l’accento su storie di ribellione, ritraendo lo sciopero della fame di Bobby Sands nel suo incredibile lungometraggio d’esordio Hunger. Riesce facile dunque immaginare quanto la storia di Solomon Northup, le cui memorie il regista paragona per importanza al Diario di Anna Frank, siano a lui vicine come le lotte tra irlandesi e inglesi.

Nel 1841 l’uomo libero e cittadino di New York Solomon Northup fu convinto a viaggiare a Washington City con l’inganno. Un’offerta allettante che gli avrebbe permesso di tornare a casa con qualche dollaro in più, ma l’ingenuità fu ripagata con le catene: venduto ad un mercante di schiavi, spedito negli stati del Sud con un nome diverso dal suo e messo in mostra di fronte ai clienti come fosse un animale.

Il lieto fine è annunciato nel titolo, ma non c’è nulla di felice nella liberazione di Solomon, interpretato con una bravura fuori dal comune da un attore che dal teatro molto ha imparato, Chiwetel Ejiofor, la cui tragedia è raccontata senza uso alcuno di retorica né modifiche alle originali disavventure di Solomon. John Ridley alla sceneggiatura filtra l’indulgenza verso i suoi aguzzini dell’autore originale, ma rispetta gli eventi.

Non ci sono invenzioni in 12 anni schiavo, si evidenzia, ma non si crea dal nulla un evento non accaduto: McQueen dà vita ad una realtà di oltre centocinquanta anni fa, ancora invisibile agli occhi di molti, vissuta quasi fosse successo secoli fa, come se gli Stati Uniti e le altre nazioni complici avessero già pagato l’amaro debito. Avvalendosi della fotografia dagli abili chiaroscuri di Sean Bobbit, McQueen coglie lo spirito del dolore, rimane ancorato al suo stile in cui l’attore è centrale, con lunghe inquadrature, piani sequenza e primi piani dove Ejiofor senza aiuti dipinge sul proprio volto la disperazione temuta da Solomon.

Notevoli i comprimari, tra cui spicca senza alcun dubbio l’attore feticcio di McQueen, un violento e indemoniato Michael Fassbender, ma non sono da meno le brevi apparizioni di Paul Giamatti, Paul Dano, Benedict Cumberbatch e Lupita Nyong’o, a cui è capitata la parte più dura da digerire: in una persona s’insedia la violenza causata dall’uomo credutosi superiore per diritto divino, osservato da Solomon/Chiwetel e da noi per ricordarci quanto il male sia radicato in ogni regione del mondo, in ogni periodo storico e c’è ancora tanto per cui chiedere ammenda.


Dettagli

  • Titolo originale: 12 Years a Slave
  • Regia: Steve McQueen
  • Fotografia: Sean Bobbit
  • Musiche: Hans Zimmer
  • Cast: Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Lupita Nyong'o, Brad Pitt, Paul Giamatti, Paul Dano, Benedict Cumberbatch
  • Sceneggiatura: John Ridley

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