Editoriali "Cinema"

Ieri, oggi… e ancora ieri

Fausto Vernazzani

Ieri, oggi… e ancora ieri. La parabola incantata dell’Italia contemporanea al Festival di Cannes.

Fare il proprio ingresso al Festival di Cannes è possibile grazie a svariati eventi che circondano la roccaforte del Palais du Festival dove si svolgono le proiezioni della competizione principale, attorno a cui si stagliano lunghi tappeti rossi circondati dalla nerboruta polizia francese, pronta a scortare e difendere le stelle del cinema più luminose del globo terrestre. Il verbo “potere” al Festival di Cannes acquisisce un valore diverso dagli altri eventi cinematografici, dove al centro ci sono i film, e non la gloria o la fama: “potere” passa da verbo a sostantivo, solo se ne hai in gran quantità nelle tue tasche puoi riuscire a vivere davvero l’atmosfera mercantile che riempie l’aria sulla Croisette.

In mezzo a tante bandiere, poster pubblicitari di dimensioni bibliche e personaggi famosi, ci sono brandelli di mondo. C’è un Villaggio Internazionale sparso per la città, dove ogni paese espone la sua bandiera e si vende, offre il proprio corpo a quelle persone che desiderano girare un film in territori adatti, attrezzati, volenterosi. Il nostro stivale è lì, tra i tanti, orgoglioso di sé, ma non dei suoi risultati. Passeggiare di fronte agli stand della Sud Corea, del Giappone, della Germania o dell’Irlanda, significa osservare paesi fieri di ciò che li sta rappresentando in ogni singola sezione del Festival. E l’Italia? L’Italia sfoggia uno slogan impressionante: facciamo del passato il nostro futuro.

I libri di storia e storia dell’arte devono aver dato all’uomo una cattiva impressione: l’idea di un tempo congelato, fermo, che mai più scorrerà in avanti. Eppure ogni frazione di secondo, ogni minuto, ogni mese ed ogni anno è sì irripetibile, ma in questa essenza esplode la natura delle cose, la sua spinta all’evoluzione. Avere una grande percentuale del patrimonio artistico mondiale è un dato di cui ci si può fregiare oggi, ma tra cento anni? Tra cento anni il passato dall’Italia amato sarà ancora più lontano. Sconvolge vedere il disinteresse verso il nuovo, verso lo stesso Sorrentino, in concorso e non pubblicizzato con un poster, così come anche gli altri lavori di Valeria Golino, di Valeria Bruni Tedeschi e così via, al di là della qualità.

Un punto geografico convinto di sé al punto da dichiarare in una riunione di tutte le Film Commission che sarebbe più importante avere produzioni internazionali a girare nel proprio paese che collaborare con le stesse. Un azione che non giustifica la totale assenza di indicazioni sulle tasse, sugli incentivi, sul tipo di aiuti che un Ridley Scott, poi fuggito a gambe levate dalla Capitale dove settimane fa era al lavoro, potrebbe voler conoscere prima di poggiare il treppiedi sul nostro suolo. Il disco è incantato, da ieri si passa ad oggi e in breve si ritorna a ieri: siamo ricordati per i fantasmi e non per la carne, mentre il mondo intero cerca in tutti i modi di toccarci per controllare se siamo vivi, noi, come paese, facciamo di tutto per confermare la natura ectoplasmatica del Cinema Italiano. Al Festival di Cannes l’Italia è solo un’ombra, una terra di nessuno da cui arrivano persone senza patria e senza una bandiera sotto cui ci si possa unire.

Ci vorrebbe un regista come Zhang Yimou, ci vorrebbe un film come Hero, a ricordarci che dovremmo essere tutti sotto un unico cielo.



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