Arti Performative Focus

Lenz Fondazione // Il Furioso al Tempio della Cremazione

Renata Savo

Per la XXI edizione del Festival Natura Dèi Teatri di Parma, a cura di Lenz Fondazione, è andata in scena una preziosissima nuova – e dunque seconda – versione de Il Furioso della compagnia ducale, al quale dedichiamo un accurato approfondimento.

«Che cos’è la morte? Un Cavaliere non ha paura di morire. È meglio morire o essere matti? Secondo me è meglio morire che impazzire […]».

Queste parole non avrebbero nulla di strano prese nel loro contesto di riferimento, il teatro: messe sulla bocca di un attore, nessuno crederebbe che l’interprete del ruolo di Orlando, il personaggio ariostesco che, sì, ha perduto il senno, e che, quindi, all’interno della rappresentazione impazzito è, si uccida assecondando tale affermazione. Perché? Perché siamo a teatro, appunto, e lo spettatore sa perfettamente che tutto ciò che accade o viene detto sulla scena costituisce soltanto un riflesso, una mimesis del reale, non la realtà in sé.

Che cosa accade, però, se a pronunciarsi è un attore “sensibile” della compagnia di Lenz Fondazione di Parma, assistito dal DAISM-DP, Dipartimento Assistenziale integrato di Salute Mentale Dipendenze Patologiche AUSL? Lo spettatore tenderà a sovrapporre personaggio, soggetto e identità del corpo attorale (e anche in questo caso, per fortuna, non c’è nulla di cui preoccuparsi).

Questa, in fondo, è la “lingua della sensibilità” creata dai direttori artistici Francesco Pititto e Maria Federica Maestri (che abbiamo avuto il piacere di intervistare qualche tempo fa): un’estetica visionaria, fantasmatica, allucinogena. Che per sistemarla in una visione completa, da un punto di vista tecnico, così come lessicale, la direzione artistica ha avvertito il bisogno di cercare un neologismo efficace: imagoturgia, dal latino “imago”, “immagine”, e dal greco “érgon”, “opera, produzione, lavoro”. Produzione di immagini, dunque. Quale sposalizio di parole più felice per designare il processo di costruzione drammaturgica del più importante teatro della follia – e della “follia amorosa” – contemporaneo?

Gli attori di Lenz Fondazione sono chiamati “sensibili” per «la maggiore sensibilità verso ogni aspetto della vita e delle relazioni umane», ha dichiarato Pititto.[1]

Un corpo è “sensibile”, oseremo aggiungere, anche perché “reattivo”, al mondo reale e a quello fittizio della rappresentazione.

Di questo attore si potrebbe parlare in termini scientifici. Ciò non significa escludere la visione di un corpo-involucro delle emozioni, ma mettere in evidenza il parametro della sensibilità come legge prima di tutto chimica, perché, alla fine, proprio l’emotività della vita quotidiana riesce a raggiungere nell’interpretazione di questi attori un livello di stabilità e di normalizzazione inattese durante la fruizione estetica.

“Sensibile” quindi, perché, calato nella condizione mimetica, proprio come un reagente, l’attore scatena “visioni altre” per mezzo della drammaturgia della parola e l’azione nello spazio che attraversa, plasmandolo con la sua presenza, mutando il segno della scena dal negativo della rappresentazione al positivo della presentazione, dell’autenticità. Queste reazioni – di cui scrive molto chiaramente lo studioso di teatro e nuovi media Vincenzo Del Gaudio (che ringrazio per il confronto), all’interno di un suo saggio in prossima uscita, sulle varie versioni di Hamlet di Lenz Fondazione[2] – determinano nel Furioso (2) di Lenz vere proprie rifrazioni e cortocircuiti tra i piani di realtà e di finzione scenica: quando la forza della parola, che ha il potere di far veder cose assenti e non far vedere immagini presenti, come un mantello che non c’è ma che un attore simula di far indossare a un altro, o l’acqua, «assente» sulla Luna – dice un attore – ma che vediamo nella realtà materiale della location (il cinerario all’esterno del complesso architettonico del Tempio della Cremazione di Valera, su cui si dirà qualcosa a breve), l’illusione, tema centrale della prima parte dello spettacolo, viene a configurarsi sia con l’illusione amorosa del testo drammatico, di Orlando illuso di poter amare ed essere ricambiato da Angelica (che invece ama Medoro), sia con l’illusione dell’identità del soggetto, cioè dell’attore “sensibile” nella sua follia biografica, sia, infine, con l’illusione teatrale.

Questa triplice stratificazione del corpo-strumento drammaturgico, come fosse una cellula fatta di nucleo, plasma e involucro – similmente Del Gaudio definisce nel suo saggio il corpo dell’attore come un atomo che urta contro gli altri elementi della drammaturgia dello spettacolo e provoca reazioni – richiama l’idea della scena come organismo biologico e, quindi, mutevole nelle sue molteplici rifrazioni sensoriali e drammaturgiche, visive e acustiche.

Non a caso, forse, nel titolo del festival risiede un concetto spinoziano, il richiamo a una presenza ambigua, singolare (“Natura”) eppure molteplice (“Teatri”), spirituale e mutevole, che identifica il teatro come paesaggio naturale, dunque vivente. A conferma di questa inclinazione mutevole, ambigua e biologica del teatro, riportiamo le parole con cui lo stesso Francesco Pititto ha affrontato la questione del rapporto con la visione, in apertura della XXI edizione del festival Natura Dèi Teatri appena conclusasi, intitolata “Punto Cieco”: il “punto cieco” è, infatti, una zona dell’occhio in cui si manifesta una componente oscura e irrazionale della visione, capace di sdoppiare ciò che è singolare e mostrare l’invisibile.

«Il Punto Cieco è nei nostri occhi, uno a destra e uno a sinistra. Il campo visivo di ogni occhio invia informazioni su quella parte di campo che il primo non può vedere. Se poi un occhio viene chiuso, il cervello riempie comunque quel buco, servendosi di informazioni che provengono dai campi vicini. Dal Punto Cieco il nervo ottico buca la retina e raggiunge il cervello e il cervello provvede, crea una visione. Non necessariamente corrispondente alla realtà, il cervello solo suppone che quella sia la realtà.

Quel punto è perciò illusione, immagine irreale, miraggio somigliante il reale […] Così è l’arte […]».[3]

Non è allora per assenza di sensibilità che il corpo dell’attore sensibile si chiarifica come corpo reattivo; piuttosto, diciamo che persino l’attore non-attore sensibile ci offre il suo paradosso. Nel corpo sensibile, folle, dell’attore di Lenz, coabita una dimensione razionale, meccanicistica, che accompagna, e stimola nello spettatore, la componente irrazionale dell’immaginazione. La trasduzione estetica del materiale non estetico, di cui in più occasioni hanno parlato Francesco Pititto e Maria Federica Maestri, ha anch’essa, lessicalmente, un’origine scientifica e biochimica: riguarda il trasferimento del codice genetico o di segnali tra le cellule. E come nella materia, per la legge di Lavoisier, nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, la relazione chimica e al tempo stesso irrazionale, illusoria, investe anche lo spettatore: la sua mente diventa una sorta di “quinta parete” di cui parla Romeo Castellucci. Un’altra visione, e perché no, un altro racconto. Insieme al corpo, davanti a Il Furioso (2) – dopo i primi quattro episodi de Il Furioso (1), ambientati al Museo Guatelli e L’Uomo e il Palazzo all’ex Padiglione Rasori dell’Ospedale di Parma – anche lo spazio bellissimo e imponente del Museo della Cremazione di Valera, a pochi chilometri da Parma, subisce una mutazione, uno slittamento di senso.

Sul Tempio della Cremazione, ecco, si potrebbero spendere molte parole, e trovare quelle giuste non è semplice. Luogo della follia labirintica del Palazzo di Atlante, si provi a considerarne il volto rigorosamente geometrico, lineare e austero, il colore dei mattoncini, terra bruciata di Siena, che compongono l’esterno, e si avrà ancora poco chiara la misura in cui tale spazio si è rivelato perfettamente indicato per questo Furioso, sia per la simbologia e la verità che lo contraddistinguono (realmente lì vengono cremati i cadaveri), sia per l’ubicazione, separata dal centro e dunque alienante. Lo spettatore si trova immerso in un contesto spettrale, cupo, eppure catartico, merito – o colpa – della prossimità psicologica all’oscurità della morte, che tutto annulla, che tutto livella.

Nessuna diversità tra noi e gli attori sensibili, straordinari, virtuosi persino nella loro finitudine tecnica. Nessuna distanza dalla potente ed esuberante Carlotta Spaggiari, nel ruolo di Angelica. Siamo parte di un’unica natura che ci fa sentire empaticamente connessi.

Non esistono folli come non esistono sani di mente.

Esiste il Teatro, questo bellissimo organismo che ci rende vivi.

 

[1] Francesco Pititto, “LA RIFRAZIONE DEL TEATRO”, http://lenzfondazione.it/wp-content/uploads/2014/04/La-rifrazione-del-teatro.pdf

[2] Vincenzo Del Gaudio, Gli schermi di Amleto: Drammaturgia e Imagoturgia negli Hamlet di Lenz/Rifrazioni 1998 -2013, in “l’illuminazione disseminata” a cura di A. Amendola, V. Del Gaudio, M. Tirino Areablu edizioni, Cava de’ tirreni, 2016, in corso di pubblicazione

 

[3] http://www.artribune.com/2016/06/natura-dei-teatri-festival-lenz-fondazione-parma/


Dettagli

  • Titolo originale: Il Furioso (2)
  • Regia: Maria Federica Maestri
  • Anno di Uscita: 2016
  • Musiche: Andrea Azzali
  • Produzione: Lenz Fondazione
  • Cast: Walter Bastiani, Franck Berzieri, Marco Cavellini, Massimiliano Cavezzi, Carlo Destro, Paolo Maccini, Delfina Rivieri, Carlotta Spaggiari, Barbara Voghera
  • Altro: Progetto realizzato con il sostegno di DAISM-DP Dipartimento Assistenziale Integrato di Salute Mentale Dipendenze Patologiche AUSL di Parma In collaborazione con So.Crem Società per la Cremazione e Ser-Cim Servizi Cimiteriali


Altro

  • Testo: IL FURIOSO (2): #5 L’Illusione #6 La Follia #7 La Morte #8 La Luna dall’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto
  • Drammaturgia, Imagoturgia, Scene Filmiche: Francesco Pititto
  • Installazione, Elementi Plastici: Maria Federica Maestri
  • Direzione Tecnica: Alice Scartapacchio
  • Equipe Tecnica: Lucia Manghi, Stefano Glielmi, Yannick De Sousa Mendes, Marco Cavellini
  • Assistente alla Regia: Roberto Riseri
  • Cura: Elena Sorbi
  • Organizzazione: Ilaria Stocchi
  • Comunicazione: Valeria Borelli
  • Ufficio Stampa: Michele Pascarella
  • Visto il: Sabato, 25 Giugno 2016
  • Visto al: Tempio della Cremazione di Valera (PR)

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