Arti Performative Focus

Formazione, ricerca, nuovi media: il teatro mercuriale dei Dynamis

Renata Savo

Tra le più interessanti formazioni teatrali italiane, la compagnia Dynamis diretta da Andrea De Magistris. Scopriamo le sue sfaccettature in questo focus sul loro teatro, ri-mediato e mercuriale.

C’è una evidente consapevolezza nelle attività portate avanti da Andrea De Magistris e dalla compagnia Dynamis. Nata nel 2007 a Roma, ma composta da attori italiani di provenienza diversa, Dynamis si muove sul triplice binario della formazione, della ricerca e della produzione.

Questa consapevolezza che permea e orienta il lavoro risiede nell’applicare alla realtà un metodo, anzi, un “non-metodo” – com’è solito chiamarlo De Magistris – che ne proietta gli interessi teatrali verso una dimensione più ampia ed europea.

In generale, il lavoro portato avanti dalla compagnia rappresenta il paradigma di una creatività che prende seriamente in considerazione le possibilità di narrazione dei nuovi media ancora molto trascurate nel nostro Paese, e il loro potenziale legame con spazi urbani e reti sociali. Negli ultimi anni, infatti, la compagnia sta mettendo a frutto una curiosità spiccata come forse pochissimi altri in Italia verso le possibilità di interazione simultanea dispiegate dai dispositivi tecnologici e le reti virtuali, facendo entrare in connessione tra loro persone e luoghi fisici molto distanti all’interno del medium teatrale.

In questo teatro ri-mediato, per usare la fortunata espressione coniata Jay David Bolter e Richard Grusin, e riprendere le parole di Annamaria Monteverdi, «l’immediatezza, la trasparenza, la relazione tra scena e platea e tra interprete e pubblico si ripropongono in tutta la loro forza […] perché il processo algoritmico di creazione delle arti mediali dà vita a una nuova età del reale».

Come per altre formazioni italiane indipendenti e agli esordi della loro carriera, è tendenza comune mettere alla prova le proprie competenze e guadagnarsi da vivere attraverso la formazione e i laboratori, indirizzando i propri interessi verso il territorio e gli adolescenti. Il teatro dei Dynamis, però, a questa tendenza unisce l’interesse per i media contemporanei permeati con un taglio preciso, in maniera così trasversale che si fa fatica a definire “teatro” quello che realizzano. Del teatro, però, condividono lo spirito: parlare al presente, nel presente. È un teatro mercuriale, inafferrabile come il tempo, stupefacente come un viaggio senza meta. I progetti dei Dynamis, così come le performance, spesso non si esauriscono nell’unità fisica di tempo e spazio: i performer dei Dynamis si spostano da un luogo fisico a un altro, dai luoghi reali a quelli virtuali, restando simultaneamente distanti, ma connessi interagendo grazie alle nuove tecnologie.  A volte corrono per davvero, inseguendo qualcuno o qualcosa, armati di smartphone.

In ACROSS/Lightblack, per esempio – presentato all’interno della rassegna Teatri di Vetro nel 2013 – Andrea De Magistris e Giovanna Vicari organizzano una maratona performativa che si svolge contemporaneamente, in real time, in quattro città italiane (Roma, Milano, Napoli e Ravenna), per un totale di sessanta adolescenti che corrono intervistando passanti e raccogliendo impressioni sul rapporto dei cittadini con il territorio. Dalle singole città, tramite software di messaggistica istantanea (Twitter, Whatsapp, Skype), le informazioni raggiungono in video l’Opificio Telecom Italia di Roma (sede della Fondazione Romaeuropa), dove il tutto viene manipolato e spettacolarizzato attraverso una performance dal vivo.

In Anselmo e Greta, spettacolo pensato per bambini e liberamente ispirato alla fiaba dei fratelli Grimm, i volti enormi e deformati dei genitori di Hansel e Gretel bucano lo schermo in PVC e interagiscono con gli attori presenti sul palcoscenico tramite Skype. È evidente che tali strumenti servono a comprendere meglio il mondo reale attraverso quello virtuale, a fare la sua esperienza non in modo diretto, ma attraverso i mezzi di comunicazione che esso utilizza.

I giovani sono ancora al centro in Alice, in scena il 4 giugno a Roma, al Teatro India, nell’ambito della rassegna “Dominio Pubblico – La città agli Under25”, che si presenta come «l’incontro di due percorsi formativi finanziati da Associazione AMICI DEI BIMBI Onlus e condotti da Dynamis presso il Teatro Vascello e il reparto di Neuropsichiatria dell’Ospedale Bambino Gesù. In scena venti ragazzi, adolescenti o poco più, ciascuno con la sua identità, le sue specificità. Il lavoro laboratoriale si costruisce in un gioco corale con l’incrocio di storie e percorsi di vita diversi che rendono ibrida e polifonica la scena, invitando tutti, come diceva Pennac, a scoprire il proprio strumento e ad accordarlo con gli altri, per trovare la propria musica e la sinfonia collettiva».

A questo proposito, durante un pomeriggio di scambio reciproco di idee risalente a poco più di un anno fa, Andrea De Magistris mi spiegava come nelle sue intenzioni il coinvolgimento diretto degli adolescenti, dei liceali – sin dal 2009 – rappresenti in un certo senso un’azione “politica”, come nel laboratorio “La meglio gioventù” per adolescenti, dove avevano fatto delle incursioni nelle scuole con una maschera da asino facendo dei “selfie” con gli studenti: «Noi eravamo in cerca di Lucignoli, cercavamo un po’ altri asini come noi. Un ragazzo che ha frequentato il laboratorio con noi, che probabilmente non avrebbe fatto mai teatro nella sua vita, non si sarebbe mai avvicinato al teatro, attraverso questo gioco, pretesto, di rottura ora sta seguendo il nostro laboratorio, viene a vedere i nostri spettacoli: di teatro non ne sapeva nulla e non ne avrebbe mai saputo nulla. Eppure si direbbe che c’è andato a teatro con le scuole. Perciò dico che il nostro è un tipo di intervento che più che sociale, io lo definisco “politico”».

Per Andrea De Magistris, “politico” non è il contenuto: nelle sperimentazioni di Dynamis non c’è affatto la volontà di formulare un giudizio, solo di esporre la realtà, restituirne una visione oggettiva, spesso seguendo un approccio analitico che rinvia a concetti filosofici o mutuati dalla psico-geografia.

Bisogna immaginare questo contesto per capire come è nato un progetto innovativo e ambizioso che Dynamis sta portando avanti da circa un anno: 2115. Un «dispositivo ludico per l’immortalità» che intende fotografare una mappa della nostra epoca, una mappa sociologica e antropologica dei luoghi attraversati. Per tramandarla al futuro. Sembra follia, e invece è un progetto di una forza strepitosa. In accordo con delle realtà locali, dei microcosmi sociali, Andrea De Magistris e la compagnia Dynamis stanziano per un breve periodo in un luogo dove viene approntata una camera neutra, una sorta di confessionale in cui le persone si recano, di propria spontanea volontà, responsabilizzate dall’invito a lasciare un messaggio qualsiasi per il futuro. Questi materiali dell’oggi, insieme a interviste, indagini di altro tipo, diventano i reperti tecnologici e audiovisivi che tra cento anni, nel 2115, saranno presentati a quella stessa società del futuro, costituendo una testimonianza importante del passato e dei mezzi di comunicazione a disposizione di un’epoca di passaggio come quella attuale, che vede la compresenza di supporti analogici e tecnologie digitali. 2115 realizza, così, una tassonomia di luoghi, una memoria – tema centrale di quest’epoca di ritorno all’oralità, all’effimero – che però ha una sua valenza spettacolare, perché riguarda l’auto-rappresentazione dei partecipanti, la maniera personale di costruire un messaggio che reputano idoneo, cioè vicino alla propria sensibilità così come alle aspettative – immaginarie – del pubblico futuro. Ne abbiamo avuto conferma circa un mese fa, il 26 aprile, quando abbiamo assistito all’interramento di una di queste “capsule del tempo”, nello spazio pubblico dell’Università LUISS Guido Carli di Roma. Curiosità dei presenti all’evento, reazioni contrastanti da parte degli intervistati: tra chi immaginava soluzioni creative per risolvere problemi del presente, avvertendo il peso morale di una responsabilità, e chi preferiva essere ironico o semplicemente scadere nella retorica. La gestualità ieratica dei due performer della compagnia Dynamis, poche parole di incipit proiettate alle spalle, che richiamano la mitologia e l’origine delle passioni, focalizzano l’attenzione sul valore universale dell’operazione. Perché il rito di presentazione e interramento dei materiali nei giardini della LUISS non è una simulazione, non si sta fingendo. Ciò che accade lascia un segno, un’opera, un ricordo, di cui solo i posteri potranno saggiare pienamente il valore.



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