Arti Performative Focus

“Fenêtres”: il miracolo della leggerezza di Mathurin Bolze

Valentina Crosetto

Al TorinoDanza Festival 2016, la danza abbraccia due lavori ispirati a Il barone rampante di Italo Calvino: il primo lo ha portato in scena Mathurin Bolze, genio dell’arte circense contemporanea e fondatore della compagnia lionese MPTA

«La vita è sempre un sogno o una follia dentro un recinto» (D.H. Lawrence).

Pare che a Calvino l’idea di scrivere Il barone rampante (1957) sia venuta quando un amico in osteria gli raccontò di un ragazzo che era salito su un albero dopo una futile lite familiare. La suggestione si tramutò in romanzo e da quell’albero il ragazzo non ridiscese più. Le gesta “arboree” del barone Cosimo Piovasco di Rondò attraversano tutte le essenziali esperienze storiche e culturali del suo tempo (il Settecento illuminista): Cosimo studia, legge, riesce persino a stampare delle gazzette sugli alberi, ha relazioni umane, segue gli affari di famiglia, piace alle donne, vive amori. Nella fantasia di Calvino rappresenta l’archetipo dell’intellettuale che dalla cima della sua torre d’avorio partecipa alla vita associata ma tende a fuggire da essa, che lotta per una società universale ma non concorda mai fino in fondo con le posizioni dei suoi compagni di lotta. La scelta di vivere sugli alberi può anche essere difficile da motivare, ma è grazie a quella distanza fisica dalle cose terrene, a quella leggerezza, che riesce a vedere più in là degli altri e a mantenere sempre un’attitudine ironica alla vita. Allo stesso modo, anche la narrazione scorre lucida ed essenziale e ci conduce senza peso di ramo in ramo, da una pianta all’altra (Pavese aveva definito Calvino, non per nulla, «scoiattolo della penna»), come in un libero gioco fantastico.

Che cosa accade però se ribaltiamo la storia? Se il capriccio di un bambino stufo del solito pranzo a base di lumache si trasforma in esilio forzato dalla società degli uomini? Se i felicissimi incontri con i viaggiatori e i potenti di passaggio nelle sue terre altro non sono che apparizioni sfuggenti e illusorie di una discesa nei deliri dell’utopia? Sembra aver riflettuto su questo Mathurin Bolze, genio dell’arte circense contemporanea e fondatore della compagnia di teatro-circo lionese Les Mains les Pieds et la Tête aussi (MPTA), approdato al TorinoDanza Festival 2016 con lo spettacolo-manifesto Fenêtres (2002). Primo dei due lavori ispirati al Barone Rampante (il seguito, Barons perchés, sarà presentato alle Fonderie Limone di Moncalieri dal 15 al 18 settembre) e inseriti nel programma di MITO SettembreMusica in collaborazione con “La Francia in Scena”, Fenêtres è la ribellione di Bachir/Cosimo alle regole della logica e del buonsenso, l’anelito di un altrove in bilico tra cielo e terra, dove poter colmare l’invalicabile distanza che tiene separati dalla realtà. Bachir – un tempo interpretato da Bolze e ora trasmesso al giovane e agilissimo Karim Messaoudi – rinchiuso nel suo capanno-gabbia al riparo dalla confusione del mondo (suoni di Jérôme Fèvre) ha molto più l’aria di un “cavaliere inesistente” che di un Perseo che sfida Medusa: come Agilulfo, di cui esiste solo l’armatura, non riesce a misurarsi con la pietrificante razionalità del reale e, in qualche modo, la subisce sacrificando la propria esistenza fra le pareti di quella scatola angusta, buia e traballante.

Un tappeto elastico per pavimento, una parete di tubi metallici e un piano verticale su cui arrampicarsi (scenografia di Goury) per esplorare lo spazio e il volume in assenza di gravità. Tra rimbalzi al rallentatore, salti mortali, volteggi mozzafiato, passi di danza, camminate funamboliche, pantomime clownesche, apparizioni e sparizioni in porte e botole, Bachir vola da un angolo all’altro degli arredamenti come un uccello in gabbia, fluttua nell’aria come un astronauta in ricognizione sulla luna, “ausculta” il cubo di ferro e legno che lo accoglie quasi si trattasse di una creatura vivente. Quando tenta di stabilire di lassù un contatto col mondo esterno – mettendo il corpo nudo in bella mostra, lamentando l’affanno della sua vita a mezz’aria, attirando l’attenzione di una manciata di spettatori che dalle finestre sullo sfondo lo osservano ammaliati – fallisce e cade. Perché a chi si autoemargina non è dato godere della compagnia altrui, se non della propria ombra riflessa sul muro. L’unico sollievo a questa quotidianità onirica, dove tutto succede ma niente accade, è la luce, la luce di mille lampade ripetutamente spente e riaccese, da cui Bachir resta attirato come una falena notturna impazzita. Possiamo solo immaginare cosa rappresenti: la libertà, probabilmente, il cielo infinito oltre quella gabbia. Si compie, dunque, in uno spasimo verso la “luce”, il miracolo della leggerezza, il sogno (o la follia) di una realtà parallela, alternativa al sistema, che fu anche il sogno di Calvino, della sua scrittura levigata. «Stavo scoprendo la pesantezza, l’inerzia e l’opacità del mondo, qualità che s’attaccano subito alla scrittura, se non si trova il modo di sfuggirle», dirà lo scrittore in una delle Lezioni americane (1985). Sarà pure vero che non c’è modo di evitare la pesantezza, il gravame della nostra vita ancorata a terra, ma l’incanto della danza aerea di Messaoudi è riuscito a dimostrarci il contrario, almeno per una sera.


Dettagli

  • Titolo originale: Fenêtres
  • Regia: Mathurin Bolze
  • Anno di Uscita: 2002
  • Cast: Karim Messaoudi
  • Altro: Produzione Compagnie les mains les pieds et la tête aussi con il sostegno straordinario della convenzione di cooperazione Città di Lyon / Institut français e della Région Rhône-Alpes nel 2015.


Altro

  • Scenografia: Goury
  • Luci: Christian Dubet
  • Creazione Suoni: Jérôme Fèvre
  • Regia Suono: Fréderic Marolleau
  • Direttore di Scena: Fréderic Julliand
  • Visto il: Sabato, 10 Settembre 2016
  • Visto al: Fonderie Limone, Moncalieri (TO)

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