Arti Performative

Ettore De Lorenzo // Sala d’attesa – The Waiting Room

Maria Ponticelli

In una sala d’attesa le persone attendono qualcosa: il proprio turno, un colloquio, una risposta e quasi sempre chi attende si lancia o si lascia coinvolgere in una session di commenti sulla personale visione del mondo. La sera del 3 luglio, il Napoli Teatro Festival Italia ha messo in scena una sala d’attesa (waiting room), davanti a una platea di persone diradata dalle necessarie misure anti-covid, all’interno del Cortile d’Onore del Palazzo Reale in Piazza del Plebiscito. L’ideazione e la conduzione di questo talk show, che ha fatto ritorno al Festival dopo il successo della prima edizione, è del giornalista RAI Ettore De Lorenzo. Lo spettacolo è stato introdotto dagli attori di Coffee Brecht e scandito dagli interventi musicali della Bandaspè, composta da Giosi Cincotti, Carlo di Gennaro, Machi Di Pace, Ugo Gangheri ed Ernesto Nobili; esso si divide in due momenti: nel primo si parla di “democrazia” e delle storture cui il fenomeno è andato incontro in seguito all’avvento dell’era digitale, nel secondo tempo invece il dibattito si è spostato sul problema della “diseguaglianza” come effetto della mancata partecipazione all’interno delle dinamiche di governo. Sul palco gli ospiti “in attesa” che hanno dato avvio alla conversazione sul primo tema sono stati: lo storico Paolo Macrì, il giurista Mauro Barberis e il direttore dell’Istituto di Neuroscienze del Cnr Lamberto Maffei, lo scrittore e divulgatore Daniele Zovi, l’economista Marco Musella, il Direttore Museo Filangieri di Napoli Paolo Iorio, Antonio Trampus, membro del consiglio direttivo della Società italiana per lo Studio dell’Età moderna e professore di Storia moderna alla Ca’ Foscari di Venezia, e Vincenzo Accurso, Operaio Whirpool e componente del Consiglio regionale della Uilm.
Il dibattito ha preso le mosse da un’analisi di Macrì sul fenomeno del populismo e dalla sua difficile definizione, per finire con l’indagare le dinamiche che sottendono al governo di leader come Donald Trump, improbabile guida politica eppure eletto alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Senza soluzione di continuità, è proseguito con l’intervento di Barberis che è andato a ricercare la crisi della democrazia all’interno dei dispositivi di tecnologia digitale che, ancor più del mezzo televisivo, cavalcano l’onda dei predetti populismi per istituire un regime di “potere anarchico”, dove la rappresentatività scaturente dai fenomeni elettorali democratici viene sacrificata sull’altare del potere mediatico. Naturale conclusione è stata quindi quella del dottor Maffei, che ha delineato i contorni della figura dello “schiavo contento”, privato della capacità di reagire attraverso il pensiero critico e derubato della bellezza della parola a favore del linguaggio prettamente scritto della comunicazione odierna. Tra il primo e il secondo tempo la sala d’attesa ha accolto la prosa di Calvino e di Pasolini interpretata dall’attore partenopeo Massimiliano Gallo e proposto inoltre l’ascolto dei testi del cantautore partenopeo Giovanni Truppi che, attraverso i suoi brani musicati dal vivo e vagamente enigmatici come L’unica oltre l’amore, ha innestato di poesia il discorso sulla democrazia e le diseguaglianze. Le diseguaglianze, appunto, che si manifestano nell’iniquità della distribuzione del reddito e nella disparità di opportunità che connota fortemente la società contemporanea globalizzata e interconnessa, sono state al centro del dibattito durante la seconda parte del talk show; a intervenire in questa fase sono stati Marco Musella, Paolo Iorio e Vincenzo Accurso, al centro di una lotta per il rilancio degli investimenti a Napoli. Se quella delineata in un primo momento sembra essere una visone amara e disincantata dei fenomeni presi in esame, questo secondo tempo ha aperto a una schiarita rispetto alla possibilità di poter prendere coscienza della propria condizione e dare inizio a un fenomeno di reazione che passi attraverso l’aggregazione sociale, un auspicio che contrasta palesemente con quanto la natura sembra imporci in questo tempo, ma che è storicamente alla base di qualsiasi lotta per la difesa dei diritti. La consapevolezza, quindi, sembra essere l’elemento imprescindibile nel processo di riappropriazione e di partecipazione al governo dei fenomeni sociali, è lo slancio, per usare l’immagine evocata da Maffei, che fa uscire lo schiavo da uno stato soporifero di conservazione. C’è ancora speranza, pare, bisogna scavare a fondo, lavorare con costanza, ma parlarne in una sala d’attesa sembra essere già un buon inizio.



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