Cinema Il cine-occhio

Dumbo

Stefano Valva

Quando uscì in sala nel 1941, Dumbo fu una pellicola epocale per svariati motivi: in primis, la Disney aveva bisogno di recuperare credito dopo alcuni flop, e per questo cercò di presentare al pubblico un prodotto popolare, a basso costo, adatto a tutti. Inoltre, distaccandoci da logiche produttive e di mercato, Dumbo arrivò nelle sale nel pieno della seconda guerra mondiale, emozionando molto gli spettatori per la sua storia, la quale rispecchiava come in quel periodo molte famiglie (in tal caso, madri e figli) furono costretti a dividersi, e nei peggiori dei casi a non vedersi più, a causa del conflitto più sanguinario della storia dell’umanità.

Infine, avere come protagonista un animale, famoso per le sue inconsuete ed enormi orecchie, che allo stesso tempo gli danno una originale dote naturale, era un chiaro e feroce slogan contro le ideologie estremiste delle dittature totalitarie, dove il “diverso” non era per niente accettato, anzi doveva essere soppresso dal contesto sociale.

Arriviamo al 2019, negli anni del ritorno nostalgico per la casa d’animazione, dove i remake dettano la linea produttiva del futuro, da Aladdin al Re Leone, fino, appunto, a Dumbo. Stavolta la riproposizione cinematografica del cartoon, creato da una storia scritta da Helen Aberson, è in live-action. Alla regia Tim Burton, un regista che ha costruito la sua prestigiosa carriera sulle rappresentazioni dei cosiddetti freak, e uno dei pochi in grado di dirigere (almeno sulla carta) un film del genere, aggiungendoci magari, come di consueto, una macchia di atmosfera dark e gotica.

Eppure, il remake di Tim Burton non è una semplice riproposizione filmica del cartoon; il regista ha deciso di costruire una storia modificata, con elementi di trama e personaggi inediti, che egli stesso ha definito “un sequel, più che un remake”.  Infatti alcune componenti del cartoon vengono rimossi: l’amicizia di Dumbo con il topolino (presentato in omaggio, solo all’inizio), e tutta quella centralità che avevano gli animali nella narrazione, e che avrà stavolta l’uomo, nello specifico due bambini, Milly e Joe, che diventano i migliori amici del grazioso elefante.

Nel film del regista americano Dumbo si ritrova nel circo dei fratelli Medici, in realtà di Max Medici, interpretato da Danny De Vito, e viene subito sbeffeggiato ed emarginato da tutti per le sue strambe e lunghe orecchie, ad eccezione dei due bambini citati, figli del veterano della prima guerra mondiale Holt Farrier, interpretato dal carismatico Colin Farrell. I bambini, per gioco, notano la dote dell’animale di saper volare con le orecchie, soprattutto quando l’elefantino va a contatto con una piuma, e ancor di più quando pensa alla sua mamma, che nel frattempo viene mandata via per evitargli qualsiasi tipo di distrazioni durante gli spettacoli (che cominciano ad attirare pubblico), scatenando il lui il desiderio di far guadagnare il circo, allo scopo di riconciliarsi con lei un giorno.

Non sarà facile per Dumbo, perché se i bambini rappresentano la purezza, l’animo umano senza peccato e senza avidità, non si pu dire lo stesso per il personaggio interpretato da Michael Keaton, ossia l’imprenditore Vandevere, il quale vuole avere totale proprietà su Dumbo per i suoi loschi guadagni con il proprio parco giochi di nome Dream Land; l’uomo d’affari è accompagnato da una famosa trapezista francese di nome Colette, interpretata da una graziosa Eva Green.

Come anticipato, nel film di Burton il personaggio anch’esso allo stesso modo principale è l’uomo, nelle sue sfaccettature sia positive che negative. Nel 1919, in una società ancora in parte classista, con una cultura tradizionale, il circo era la casa dei diversi, di coloro i quali non potevano ricoprire ruoli pubblici, ed erano così emarginati, diventando dei fenomeni da baraccone, oggetti di derisione consegnati nelle enormi strutture di spettacolo, alla mercè dello svago popolare.

Solo i due bambini riescono a comprendere i sentimenti, la paura, la tristezza e la dolcezza di Dumbo, perché provano le sue stesse cose, ossia quel senso di smarrimento, a causa della scomparsa della madre, mentre il loro padre era in guerra, e quel bisogno d’affetto, imprescindibile per colmare un vuoto d’animo profondo.

Tim Burton si sofferma costantemente sui sentimenti dei suoi freak, ossia Dumbo e i due bambini, perché sa come questo tipo di personaggi si possano sentire in un difficile contesto ambientale ed esistenziale, e riesce a descrivere, con la dolcezza che esprime nei vari Big Eyes o Big Fish, attraverso inquadrature zoomate, soggettive, e attraverso anche una bellissima ed emozionante ricostruzione in CGI del famoso elefantino, la sensazione di straniamento che si cela dietro la storia dei protagonisti.

Eppure non manca nemmeno la famosa componente dark, leitmotiv del cinema dello stravagante regista; seppur in minima parte infatti rivediamo in alcune scene atmosfere nebbiose, gotiche, con musiche tenebrose, che ci ridanno un assaggio di quel genere ibrido e pop di stampo burtoniano, che va comunque apprezzato nella sua interezza in pellicole che non sono questa.

Burton ha voluto dalla Disney carta bianca per la realizzazione del remake, seppur l’influenza della casa di produzione si faccia sentire molto, soprattutto nelle scene finali, e nel complesso, nello sviluppo della sceneggiatura; nonostante ciò, il film tecnicamente si dimostra una grande produzione. Burton ha supervisionato con i suoi storici collaboratori ogni aspetto estetico e tecnico della pellicola: dalla maestosa scenografia, con la ricostruzione dettagliata delle strutture circensi, alle scene di ballo, con sgargianti e ricchi costumi, dove spiccano colori molto accesi, fino alla fotografia, che gioca molto sulla dicotomia chiaro – scura, presente per l’intera durata della visione, rendendo Dumbo non solo gradevole ed emozionante, ma anche un film ben preparato e non totalmente digitalizzato, come ci si sarebbe potuti aspettare, completato da un sontuoso cast, dove spiccano Colin Farrell e Danny De Vito per la loro simbiosi coi rispettivi personaggi.

In un’epoca in cui il remake viene spesso collegato alla componente poco originale e qualitativa, e in toto commerciale del cinema mainstream americano, Dumbo lo è in veste nuova, attualizzato e contestualizzato nella modernità, senza mai perdere però l’essenza della sua storia, cosparsa di commozione ed emozionalità; nonostante ciò, non rientra nella lista di capolavori assoluti di casa Burton, la quale conosce un unico mantra nella sua narrazione cinematografica: i freak, che nella loro diversità estetica, comportamentale e sociale, trovano sempre un dono personale, che nessun altro al di fuori di loro può avere, e che rappresenta il loro riscatto. Lo tiene l’Edward con Johnny Depp, il cane Frankenweenie, e i bambini della casa di Miss Peregrine, e  allo stesso modo lo possiede Dumbo; la diversità diviene un pregio, un potere da sfruttare per fini ed azioni benevoli, e un mezzo per conquistare la libertà, aspettando una vera dream land, nella quale ognuno di loro possa sentirsi rispettato e amato.

 

 


  • Diretto da: Tim Burton
  • Prodotto da: Justin Springer, Ehren Kruger, Katterli Frauenfelder, Derek Frey
  • Scritto da: Ehren Krueger
  • Tratto da: "Dumbo - L'elefante volante" di Otto Englander, Joe Grant, Dick Huemer / "Dumbo" di Helen Aberson e Harold Pearl
  • Protagonisti: Colin Farrell, Micheal Keaton, Danny DeVito, Eva Green, Alan Arkin
  • Musiche di: Danny Elfman
  • Fotografia di: Ben Davis
  • Montato da: Chris Lebenzon
  • Distribuito da: Walt Disney Studios Motion Pictures (globale)
  • Casa di Produzione: Walt Disney Pictures, Tim Burton Productions, Infinite Detective Productions, Secret Machine Entertainment
  • Data di uscita: 11/03/2019 (Los Angeles), 28/03/2019 (Italia), 29/03/2019 (USA)
  • Durata: 112 minuti
  • Paese: Stati Uniti
  • Lingua: Inglese
  • Budget: 170 milioni di dollari

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